ROMA (WSI) – È tutto scritto sul sito del Tesoro, ma i partiti e i media fanno finta di non capire. L’economia della penisola italica assomiglia da vicino alla sua situazione politica: dà un’impressione di calma, ma è solo apparente. Le complicazioni sono onnipresenti, con una crisi che sembra essere sul punto di riaprirsi, creando una voragine nel clima di fiducia di mercati e imprenditori stranieri.
Il Paese resta in una fase di recessione, ma il Governo parla di ripresa. La contrazione del Pil sarà di circa il 2% nel 2013. I tassi di interesse sono scesi dalla soglia di pericolo del 7% toccata a gennaio 2012, ma sono rimasti invariati quest’estate su livelli poco confortanti (scambiando tra il 4,5% e il 5%).
La parola chiave è “fiducia”. Ma uno Stato non può continuare a dipendere dall’approvazione dei mercati per sperare di ridurre il fardello del debito pubblico (l’Italia ha storicamente dovuto pagare un costo molto alto alla voce ‘spese per interesse’ per rifinanziarsi sui mercati) e rilanciare la crescita.
Il tentativo di Mario Monti di riformare il Paese da novembre 2011 a dicembre 2012 non ha ottenuto i risultati sperati. La terza economia dell’area euro è sempre uno dei malati principali dell’ospedale del Sud d’Europa.
Ci vorrebbe un rimedio, ma non solo economico. Come dimostrato dal fatto che l’avvertimento del ministro dell’Economia sullo stato di salute precario del Paese continua a passare inosservato. A nulla sono servite le minacce di dimissioni di Fabrizio Saccomanni.
I partiti sono sordi e intanto la ripresa sfuma. E non è solo questione di trovare il miliardo di euro per evitare l’aumento dell’Iva. I problemi sono tanti. L’Europa continua a costare caro per colpa delle politiche imposte dalla Germania. Tagliare la spesa pubblica è un’impresa quasi impossibile: al massimo si riuscirà a frenarne l’aumento. Il tutto mentre l’incertezza sul versante dello Spread – dipendente dall’incerta stabilità politica, ma anche dal contesto esterno europeo – continua a pesare sul futuro della nazione.
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Di Stefano Feltri
La minaccia è stata inutile. Neanche 24 ore dopo che il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha detto di essere pronto a lasciare come estremo richiamo alla serietà, a non giocare con i conti pubblici, i partiti di governo fanno quello che riesce loro meglio: promettono di spendere soldi che non hanno. Pd e Pdl trovano l’accordo sull’ennesimo rinvio dell’aumento dell’Iva dal 21 al 22 per cento previsto per il primo ottobre.
Un miliardo di euro, che il governo di Enrico Letta non sa ancora dove prendere. E rinviare l’aumento dell’Iva era proprio una delle cose da evitare, come diceva Saccomanni al Corriere della Sera : “Io non mi metto alla disperata ricerca di un miliardo se poi a febbraio si va a votare”. Ora dovrà farlo, anche perché dal Quirinale Giorgio Napolitano ordina la sopravvivenza del governo: la politica proceda “senza incertezze e tantomeno rotture, nel compiere le azioni necessarie”.
Magari nell’illusione che dopo la riconferma di Angela Merkel la Germania cambi approccio e la disciplina nei conti si faccia più morbida. “Gli italiani meritano di sapere come stanno le cose e non soltanto slogan di carattere propagandistico”, ha detto domenica Saccomanni. Visto che, si deduce, lui non è libero di dirle, ecco quali sono le verità che è utile conoscere sui nostri conti. E che, a cercarle, sono scritte nella nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza pubblicata sul sito del Tesoro.
1) La ripresa è una debole illusione
L’economia è meno disastrosa di qualche mese fa, ma sperare nella ripresa per spendere senza freni è pericoloso. Il Pil nel 2013 scende almeno dell’1,7 per cento. La previsione del governo per il 2014 è +1. Tutti gli istituti economici internazionali (tranne il Ref) si aspettano meno, il consensus (cioè l’orientamento degli analisti) è 0,5. Pil più basso implica un rapporto con il deficit più elevato e dunque il rischio di nuove manovre. E il governo, a parte il miliardo per l’Iva nel 2013, si è già preso impegni che valgono 12 miliardi di euro. Quasi tutti da trovare.
2) Lo spread conta molto più di Letta e Berlusconi
Giocare con i conti compromette la reputazione, un Paese molto indebitato (debito al 132 per cento del Pil) e poco credibile paga interessi più elevati. Gli interessi passivi che lo Stato pagherà nei prossimi anni sono questi: 83,9 miliardi nel 2013, 86 nel 2014, 88,8 nel 2015, 91,8 nel 2016. E già così sono tantissimi. Ma il dato più inquietante è che queste cifre si basano sull’ipotesi che lo spread, cioè la differenza di costo tra debito italiano e tedesco, continui a scendere. E vada a 200 nel 2014, a 150 nel 2015 e a 100 nel 2016. Oggi è a 234. Se non comincia ad abbassarsi subito, il conto finale sarà ancora più elevato.
3) L’Europa costa cara, anche per colpa dei tedeschi
La linea della Germania sulla gestione dei Paesi in crisi ha fatto lievitare il nostro debito pubblico al di là delle nostre colpe. Visto che la Bce non poteva intervenire – Berlino non voleva – i singoli Stati hanno prestato miliardi ai due fondi europei di emergenza, Efsf ed Esm, che poi giravano i capitali ai Paesi in difficoltà. Tra il 2011 e il 2012, l’Italia ha versato 50 miliardi di euro e nel 2013 altri 5,8. Quasi 60 miliardi per costruire uno strumento da cui l’Italia non ha ricevuto un centesimo.
4) Tagliare la spesa è praticamente impossibile
Questo Saccomanni ha provato a dirlo fin dalla sua prima intervista da ministro. La spesa pubblica al netto degli interessi (cioè senza contare il costo del debito) sarà 714,3 miliardi nel 2013, 723,7 nel 2014, 726 nel 2015 e 739 nel 2016. Sostenere, come fa Renato Brunetta, che essendo così ingente nessuno si accorgerà se si taglia un miliardo, è ignorare la pratica quotidiana. Al massimo si riesce a frenare l’aumento, ma senza riforme molto profonde che riducano il perimetro dell’azione dello Stato è illusorio sperare di finanziarie politiche costose con limature alla spesa.
5) Il rigore continua
Anche se pochi parlamentari ne sembrano consapevoli, l’Italia ha dato il via libera alle nuove regole di bilancio europee che prevedono, tra l’altro, il bilancio pubblico in pareggio (deficit strutturale, che non considera gli effetti della crisi, pari a zero, deficit nominale sotto il 3 per cento), e una riduzione ogni anno del 5 per cento della parte di debito che supera il 60 per cento del Pil. Secondo il Tesoro, noi siamo in regola fino al 2015, ma soltanto perché le tasse continueranno a essere altissime, con una pressione fiscale attorno al 44 per cento. Ogni intervento mette a rischio gli obiettivi , e se il deficit supera il 3 per cento l’Italia torna sotto procedura d’infrazione.
6) Bisogna risparmiare soldi. Per darli alle banche
Le sofferenze bancarie sono arrivate a 138 miliardi. Le grandi banche sono fragili, hanno bisogno di soldi (Mps cerca 2,5 miliardi) e non ci sono azionisti italiani disposti a metterceli. Finora l’Italia è uno dei Paesi europei che ha dato meno soldi al sistema creditizio, ma adesso i timori stanno aumentando. E lo Stato deve essere pronto a intervenire. Come dimostra l’annuncio della rivalutazione delle quote della Banca d’Italia, un trucco del governo per rendere più solidi i bilanci delle banche azioniste dell’istituto di vigilanza.
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