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I mercati ritorneranno presto a correre

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NEW YORK (WSI) – Strana situazione. La politica tedesca è paralizzata. Dai giornali, dalla Frankfurter Allgemeine a Bild, è praticamente sparita e la prima pagina, che va comunque riempita, riporta gli standoff degli altri, dalla chiusura del governo in America alle vicende italiane. Non sono iniziati i cantieri sul programma di governo perché non si è ancora deciso quali partiti comporranno la coalizione. E non si è deciso sulla coalizione perché è possibile che non ce ne sia nessuna e che si torni a votare. Poiché la legislazione tedesca tende ormai ad estendersi quasi automaticamente a tutta Europa, è tutto il continente che aspetta di sapere, ad esempio, se sarà tassato sulle transazioni finanziarie (in caso di coalizione Cdu-Spd) o attraverso una carbon tax (Cdu-Verdi). Bruxelles e Francoforte, le grandi burocrazie politiche e monetarie, procedono dal canto loro con il pilota automatico.

Negli Stati Uniti la costituzione prescrive che il Congresso rediga un bilancio preventivo annuale. L’esercizio inizia il 1° ottobre e termina il 30 settembre dell’anno successivo. Da anni non si riesce più a redigere il budget perché manca il consenso politico. Si ricorre allora alla Continuing Resolution, l’esercizio provvisorio, che autorizza i centri di costo federali a spendere entro i limiti dell’anno precedente. Quest’anno non si riesce a trovare un accordo nemmeno sulla Continuing Resolution. Questo comporta la chiusura progressiva delle attività governative. Il 17 ottobre scadrà anche la possibilità di contrarre altri debiti da parte del governo federale. A quel punto il governo, che incassa dalle imposte molto meno di quello che spende, dovrà operare solo con i soldi che arrivano in cassa giorno per giorno (un’incresciosa situazione in cui peraltro si trovano molti comuni mortali). Fra due settimane, quindi, la crisi di bilancio si salderà alla crisi di liquidità.

Detto così sembra chissà che cosa. In realtà, per il momento, sono stati chiusi i parchi nazionali e i call center del fisco e la vita sembra andare avanti lo stesso. Dal 17 in avanti le chiusure diventeranno più aggressive, ma si sa già che verranno assicurati i fondi per le forze armate e che gli interessi sul debito verranno pagati. Ci sono dunque zero (ripetiamo, zero) possibilità di default da parte degli Stati Uniti. Chi parla di default è grossolanamente disinformato o in palese malafede.

Lo stallo americano di questi giorni è vissuto da molti commentatori come un confronto tra repubblicani e democratici o tra il Senato e la Camera dei Rappresentanti. Si sa che i confronti tra politici tendono a essere teatrali e a sembrare insanabili fino a un minuto prima del compromesso. I mercati, quindi, si sentono autorizzati in questi giorni a sdrammatizzare la situazione e a considerare la modesta discesa dai massimi delle ultime due settimane un livello già molto interessante per comprare a sconto prima del rialzo di fine anno. Così facendo, però, i mercati continuano a caricarsi di azioni e si rendono più vulnerabili rispetto a sviluppi imprevisti.

Quello che i mercati non considerano è che quello in corso non è un duello, ma uno stallo alla messicana. Il duello ha due protagonisti, lo stallo alla messicana ne ha tre. Chi ha visto Reservoir Dogs (Le Iene) di Tarantino ha ben presente la scena in cui A, B e C puntano la pistola l’uno contro l’altro. E chi è, nel caso americano, il terzo protagonista? È il mercato stesso.
I politici, infatti, possono continuare a duellare in punta di fioretto molto a lungo, certamente più a lungo di quanto il mercato si immagini. Il duello, per loro, è un modo per farsi vedere dagli elettori e per ostentare determinazione nel difendere gli interessi dei loro sostenitori. Le questioni su cui stanno litigando sono del resto più simboliche che di sostanza, esattamente, se ci si consente il paragone, come la tenzone italiana su Imu e Iva.

Per trovare un compromesso, i duellanti di fioretto aspettano che entri in scena il terzo protagonista, il mercato, e che questo punti la pistola non contro i repubblicani o i democratici, ma contro se stesso. In pratica, il mercato non scende perché è certo che ci sarà un compromesso e che fra due mesi ci si sarà dimenticati completamente di queste vicende. Perché ci sia un compromesso, tuttavia, bisogna che il mercato scenda e metta così pressione sui politici. Chi cederà per primo, tra democratici, repubblicani e mercati? Non i democratici, che ritengono di avere una buona mano da giocare. Non i repubblicani, che pur essendo divisi e nervosi, hanno al loro interno una componente radicale che vuole giocarsi tutta la partita. Restano i mercati.

Naturalmente non abbiamo nessuna certezza che finisca così, ma la sola possibilità che ai mercati venga chiesto di pagare un prezzo più alto di quello pagato finora merita di essere considerata da chi in questo momento è molto sbilanciato al rialzo e da chi sta aspettando il momento migliore per entrare. Attenzione, però. Il sacrificio richiesto ai mercati non sarà pesante. I repubblicani sono troppo nervosi per tollerare una discesa pronunciata. La finestra temporale in cui sfruttare l’eventuale caduta sarà inoltre brevissima, calcolabile in ore più che in giorni e sarà, se ci sarà, poco prima o poco dopo il 17 ottobre.

Azzardiamo l’ipotesi che sia sufficiente una caduta veloce del 2-3 per cento dai livelli attuali per sbloccare lo stallo, anche perché i dati macro più recenti sono risultati complessivamente positivi.

Superato l’ostacolo fiscale americano i mercati azionari punteranno di nuovo verso l’alto senza che questo comporti effetti collaterali negativi sui bond. Per molti aspetti siamo tornati, strutturalmente, alla situazione precedente il famoso discorso di Bernanke sul tapering. Borse forti, Treasuries stabili e spread di credito in discesa. Quanto alla forza dell’euro, è possibile che continui ancora per qualche tempo. Anche sul cambio, in Europa, si fa quello che vuole la Germania e i tedeschi hanno la tendenza, quando le cose vanno bene, ad allargarsi un po’ e a compiacersi della forza della loro valuta. Ora in Germania l’economia è andata molto bene in luglio e agosto e ora sta leggermente rallentando. Si tratta però di un rallentamento previsto, che dovrebbe durare ancora fino a fine ottobre e lasciare poi il passo a una graduale riaccelerazione. Nulla osta, quindi, a un ulteriore rafforzamento dell’euro, per lo meno dal punto di vista tedesco.

Lascia però perplessi, questa rivalutazione, se si considerano le condizioni del resto dell’Europa. Qui vediamo un miglioramento ciclico dovuto essenzialmente all’allentamento della politica fiscale e, in parte minore, alle esportazioni. Ora è difficile pensare che la Germania, nei prossimi anni, acconsentirà a ulteriori allentamenti fiscali. È difficile anche credere a una ripresa duratura dei consumi interni. Restando a questo punto solo le esportazioni, un euro troppo forte non sarà certamente d’aiuto. Inoltre l’economia europea accelererà solo se anche quella americana farà altrettanto. La distanza tra Stati Uniti ed Europa, in termini di crescita, rimarrà quindi invariata. Per questo, nel medio termine, continuiamo a preferire il dollaro.

*Questo documento e’ stato preparato da Alessandro Fugnoli, strategist Kairos Partners SGR. ed e’ rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali ovvero ad operatori qualificati, così come definiti nell’art. 31 del Regolamento Consob n° 11522 del 1° luglio 1998 e successive modifiche ed integrazioni. Le analisi qui pubblicate non implicano responsabilita’ alcuna per Wall Street Italia, che notoriamente non svolge alcuna attivita’ di trading e pubblica tali indicazioni a puro scopo informativo. Si prega di leggere, a questo proposito, il disclaimer ufficiale di WSI.

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