ROMA (WSI) – Seoul è stata di recente dichiarata la “Most Connected City” in the world. In Corea del Sud, non a caso, il 95% delle case ha un acceso broadband e, secondo il rapporto Akamai 2012, la Corea è il paese con il più alto tasso di velocità di connessione broadband, circa 10 volte quella dell’Italia!
Il vero fattore di cui preoccuparsi rispetto al nostro ritardo di competitività va, però, oltre questi dati infrastrutturali. L’approccio culturale alla tecnologia nei paesi come la Corea è molto laico e pragmatico. La tecnologia è vista come un fattore di accelerazione dello sviluppo e quindi di margine competitivo. È per questo che il governo coreano ha deliberato l’investimento di oltre 2 miliardi di Euro per digitalizzare tutti i testi scolastici entro il 2015.
Un rapporto della Pearson Foundation ci racconta come la Corea del Sud abbia iniziato a adottare la tecnologia nei processi educativi già negli anni ’90, dotando ogni classe di accesso a Internet e ogni insegnante di un computer. Da allora si sono susseguiti piani concreti per portare le tecnologie non solo in aula, ma anche a casa: dal 2005 infatti gli studenti hanno un servizio di tutoring digitale. Programmazione e infrastrutture consentono oggi alla Corea del Sud di fare l’investimento finale e passare a una scuola “Full Digital”.
La rivoluzione digitale nelle scuole coreane avviene a tutti i livelli e i bambini familiarizzano con le tecnologie già in tutti gli asili, dove a partire dal 2013, ci saranno dei robot che aiuteranno a imparare l’inglese.
Il risultato? Oggi la Corea del Sud, che nel 1945 contava il 78% di analfabetismo, si classifica secondo paese al mondo per capacità di lettura, quarto in matematica e quinto in scienze.
Il problema è quindi una doppia perdita di competitività. A fianco di quella infrastrutturale, che richiederà probabilmente almeno un decennio per esser parzialmente colmata, abbiamo la perdita di competitività sull’educazione. I Coreani stanno preparando una generazione di giovani cresciuti a loro agio con le tecnologie, e che sapranno gestirle e orientarle per favorire lo sviluppo e il benessere della loro nazione. Noi stiamo allevando una generazione destinata a perdere questo confronto. E, se non interveniamo subito, ci vorrà molto più di un decennio a porre rimedio a questo gap competitivo.
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