MILANO (WSI) – Il salvataggio della Grecia? Un questione di vita o di morte. Non per Atene, però, ma per le banche, specie quelle francesi e tedesche, piene fino al collo di titoli ellenici. Cui è stato garantito il tempo per mettere in sicurezza i propri conti a spese dei cittadini ellenici.
L’accusa non arriva da Syriza, la sinistra radicale del Partenone, nè dai movimenti anti-globalizzazione. Anzi. E’ riportata nero sui bianco nei verbali della drammatica riunione del 9 maggio 2010 in cui il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha dato il via libera al primo piano di aiuti per il paese, pubblicati dal “Wall Street Journal”.
I documenti, classificati come riservatissimi e segreti, parlano chiaro: più di quaranta paesi, tutti non europei e pari al 40% del board, erano contrari al progetto messo sul tavolo dai vertici Fmi. Il motivo? Era “ad altissimo rischio”, come ha messo a verbale il rappresentante brasiliano perché “concepito solo per salvare i creditori, nella gran parte banche del Vecchio continente e non la Grecia”.
Il piano era considerato già allora da diversi paesi tra cui Canada, Russia e Australia “troppo ottimistico” e “al limite del panglossiano”. I critici sostenevano che le previsioni dell’Fmi erano sovrastimate e che Atene avrebbe pagato un costo salatissimo in termini di recessione e disoccupazione.
Sono stati facili profeti, visto che da allora l’economia ellenica si è contratta del 25% e il 27% dei cittadini del paese è senza lavoro (il 57% i giovani tra i 15 e i 24 anni). Le voci contrarie all’austerity sono state però zittite in sede di votazione dai big del Fondo. Stati Uniti ed Europa hanno tirato dritto e l’organizzazione ha varato quella cura lacrime e sangue da cui la Grecia non si è rimessa ancora oggi pur avendo ricevuto 230 miliardi di prestiti.
Se l’obiettivo del piano era quello di consentire alle banche di ridurre la loro esposizione ad Atene, la ricetta ha funzionato. All’epoca del meeting a Washington le banche francesi avevano in tasca 78,8 miliardi di titoli di stato ellenici e quelle tedesche 45 (le italiane 6,8). Pochi mesi dopo questa montagna d’oro era stata già ridotta di un quarto. E quando l’avvitarsi della crisi ha costretto i creditori privati ad accettare uno sconto del 70% sulla loro esposizione per evitare il default della Grecia, la quota in portafoglio ai big del credito europeo era stata tagliata ancora significativamente.
Il giallo dei verbali Fmi è l’ennesima conferma dei tanti errori commessi da Washington e dalla Troika nell’operazione di salvataggio di Atene. Ci sono stati scivoloni concettuali come l’uso di modelli econometrici sbagliati che hanno portato a sottovalutare gli effetti dell’austerity.
Ma anche errori “voluti” e più marchiani: un paper dell’Fmi reso noto pochi mesi fa ammetteva senza troppi peli sulla lingua che la pianificazione degli interventi sul debito ellenico è stata calibrata in modo tale da dare tempo al resto d’Europa di prendere le contromisure necessarie per non trasformare un default di Atene in un disastro per l’intera area euro.
Un concetto ribadito nei giorni scorsi da Christine Lagarde, numero uno dell’Fmi, in un’intervista alla Cnn in cui ha ribadito che “sarebbe stato meglio ristrutturare il debito privato prima del marzo 2012, ma il rischio era di mettere ko tutta l’Europa”.
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