MILANO (WSI) – “Verrete tassati fino a sparire (They are going to tax yourself out of existence).”
Compratevi dei Monet e nascondeteli. Così si sarebbe espresso un celebre economista in un incontro recente con grandi investitori americani. Lo riporta Fred Hickey, presente all’incontro, nella sua newsletter di ottobre. Non vi diciamo il nome dell’economista, così vi diamo un incentivo per andare a leggere The High-Tech Strategist, il mensile di Hickey, sempre molto stimolante. Per fortuna Monet è stato un pittore prolifico e ci ha lasciato più di 500 opere. È morto ricco, ma ancora più ricchi sono stati o diventati i compratori dei suoi dipinti. Le bassin aux nymphéas è stato venduto nel 2008 per 71 milioni di dollari. Quanto al nasconderne le opere, supponiamo che l’economista si riferisse ai ladri. Il fisco, infatti, ha spesso un occhio di riguardo per l’arte.
L’Impot de Solidarité sur la Fortune, la patrimoniale francese (la più severa del mondo), si applica ai mobili di casa, all’auto, alla moto e all’eventuale cavallo (oltre a case e titoli, ovviamente), ma esonera le opere d’arte. Ogni anno qualche deputato presenta all’Assemblea Nazionale una proposta di legge per eliminare questa eccezione, che puntualmente viene invece confermata da socialisti e gollisti insieme. La Francia vuole per sé una borghesia colta ed elegante. E sa che nell’arco di qualche generazione le opere possedute dai privati finiscono immancabilmente in musei aperti al pubblico e visitati da milioni di turisti stranieri.
Che le tasse aumenteranno nei paesi sviluppati è una tranquilla certezza (Germania e Svezia uniche possibili eccezioni). Così come è certo che il welfare continuerà a ridursi e che l’inflazione risalirà. Il debito pubblico americano ha raggiunto i 17 trilioni (erano 10 nel 2008) ed è arrivato al 107 per cento del Pil. Il disavanzo sanitario e previdenziale implicito è di 70 trilioni. Il mercato e i politici fanno finta di non vederlo, ma l’elefante è già in salotto.
Se questo è il futuro (che potrà essere molto meno nero se ci sarà un poco di crescita economica in più) è bene mettere fieno in cascina per l’inverno comprando azioni ed evitare strategicamente gli asset con un potenziale di guadagno limitato e predefinito, i bond. Intendiamoci, di qui a un anno i bond non avranno a soffrire particolarmente e potranno perfino dare qua e là qualche soddisfazione. La spettacolare marcia indietro sul tapering da parte della Fed ha infatti prodotto due risultati importanti.
Il primo è che la prossima volta (se e quando arriverà) il tapering verrà proposto in dosi omeopatiche.
La seconda è che il mercato sarà molto più composto nella sua reazione. La ripresa di colore dei bond in questi giorni non va però confusa con quella dell’azionario. In apparenza tutto sembra tornato ai tempi felici del dopo 2008 in cui bond e azioni salivano insieme tenendosi per mano, ma quello che ci pare di vedere sotto la superficie è che il recupero dei bond si fermerà abbastanza presto (al più tardi in primavera) mentre il rialzo azionario, sia pure in mezzo a una volatilità crescente, potrà proseguire per tutto il decennio in corso e forse nel prossimo.
L’inflazione, infatti, non è particolarmente nemica dell’azionario, ma è letale per i bond. Ma dov’è mai questa inflazione, ci si chiederà? Non siamo forse ai minimi? Appunto, siamo ai minimi. Come nota David Rosenberg, l’inflazione è alla portata di qualsiasi banca centrale. Se c’è riuscita quella dello Zimbabwe, anche la Fed sarà in grado di farla tornare. È solo questione di superare certe timidezze e di trovare la dose giusta di incentivo monetario. Poi ci si prova gusto e tutto viene da sé.
Finché c’è l’output gap, finché cioè ci sono risorse inutilizzate, l’inflazione si manifesta solo sugli asset, ma da un certo punto in avanti arriva veloce su tutto il resto. Ce la faremo, dunque, e già nel 2016 cominceremo a vederne il risveglio. Alla fine, insomma, si torna sempre sull’azionario. Gli utili crescono poco, l’economia è mediocre e le valutazioni sono sempre meno interessanti. Pazienza, non ci sono alternative.
Ci sono aree della nuova tecnologia dove sembra di essere tornati al 2000, con Ipo quotate a 200 volte le vendite e contese avidamente anche se non vedranno un utile per anni e anni a venire. Non importa, basta evitarle e andare sui ciclici che costano ancora poco.
Le grandi banche americane, che operativamente vanno molto bene, vengono multate ormai ogni giorno per importi strabilianti da tutte le procure federali e statali in gara tra loro. Non fa niente, basta andare sulle banche regionali, che vengono lasciate tranquille. E così via. Come ricorda Brian Belski, ci sono in America 40mila consulenti finanziari che ogni giorno, in questo periodo, chiamano i loro clienti per annunciare la buona novella della Grande Rotazione dai bond all’azionario. In questo contesto ogni resistenza al rialzo è vana.
Fred Hickey, che da ottimo conoscitore del settore della tecnologia è bravissimo a prevedere nero dove tutti vedono azzurro, si mette al ribasso sui titoli che segue il giorno prima degli utili e si ricopre poco dopo l’apertura, ben sapendo che questo mercato si dimentica in poche ore di ogni delusione e comincia subito a guardare con ardente speranza al trimestre successivo. Ci abitueremo gradualmente a trovare normali valutazioni che fino a qualche mese prima ci sembravano troppo alte. Le società continueranno ad abbellire i loro conti con acquisti di azioni proprie, noi non ne terremo conto e penseremo a una grande capacità manageriale, a buoni prodotti e a nuovi mercati conquistati.
Adotteremo metriche ardite, come quelle di nuovo in uso nella nuova tecnologia, dove si è ripreso a ragionare non sugli utili ma sui contatti, come se i contatti fossero distribuibili come dividendo. Faremo nostri insomma tutti i tic e i trucchi tipici dell’autoinganno collettivo delle bolle. Se tutto andrà bene (e non c’è da escludere a priori che tutto possa andare bene) il rialzo sarà lento e timorato e l’espansione dei multipli sarà accompagnata da una crescita (anche solo modesta, ma crescita) di fatturato, margini e utili finali. Se così sarà le correzioni saranno sopportabili e costituiranno magari buone occasioni per ulteriori acquisti.
Venendo al breve termine, le prossime due settimane vedranno dati macro relativi al periodo dello shutdown e quindi praticamente inservibili. Le borse chiuderanno l’anno su livelli verosimilmente più alti degli attuali, ma non potranno crescere in modo lineare da qui al 31 dicembre. Novembre sarà quindi dedicato soprattutto a processi di consolidamento e di rotazione in preparazione del rialzo di fine anno. Il primo trimestre sarà forse meno brillante del solito per il riaprirsi graduale del conflitto politico a Washington e per la possibilità, remota ma da non escludere, di un inizio di tapering. Con il dollaro debole e con banche centrali lanciate verso l’espansione monetaria l’oro riprenderà tono, ma resterà penalizzato dalle tasse e restrizioni che l’India ha adottato per i preziosi.
Quanto all’Europa, è interessante la politica del doppio binario seguita dalla Bce e dai governi sulle banche. Quando ci si rivolge ai tedeschi si dice che lo stress test dei prossimi mesi porterà alla chiusura di qualche banca, quando si parla agli altri si sottolinea che ci sarà tutto il tempo per una ordinata ricapitalizzazione dei soggetti più deboli. La posta in gioco è alta. A un estremo si può ipotizzare un periodo di ansia per gli obbligazionisti (e perfino per i depositanti) delle banche deboli, con rischi di contagio per i titoli governativi. All’estremo opposto si può invece pensare a un processo di irrobustimento reale del sistema con ricadute positive, nel medio termine, per la capacità di finanziare la ripresa economica.
La Germania si sta posizionando nel negoziato con richieste molto aggressive e pericolose (penalizzazione obbligatoria degli obbligazionisti e revisione peggiorativa dei parametri di rischio per i titoli governativi nel portafoglio delle banche). In genere, nell’Eurozona, le richieste iniziali tedesche vengono molto ridimensionate nel corso dei negoziati e c’è da augurarsi che anche questa volta sia così.
Nell’ipotesi di un compromesso, a fine 2014 avremo un sistema bancario europeo meno fragile di oggi, ma tale da non lasciarci ancora troppo tranquilli.