MILANO (WSI) – Modera il tuo entusiasmo (Curb Your Enthusiasm) è un’acclamata serie televisiva della HBO andata in onda per otto stagioni nel decennio scorso. Il protagonista nonché creatore della serie è Larry David, un Woody Allen in versione ruvida, asciutta e senza autocompiacimenti. Il titolo viene dall’idea di David che la gente, nei rapporti sociali, tende a mostrarsi più positiva ed entusiasta di quanto non sia realmente. Questo atteggiamento non deriva dal desiderio di farsi accettare, ma dall’idea sottintesa di essere migliore dell’interlocutore. Che è normalmente di pessimo umore e che giustamente si irrita e invita l’altro a calmarsi, a darsi una regolata, a non allargarsi.
Un po’ di calma non farebbe affatto male alle borse (e in parte anche ai bond). Nelle settimane scorse molti strategist hanno alzato i loro obiettivi di fine anno, ma i nuovi target, per quanto piuttosto aggressivi, sono già stati superati o lo saranno entro una settimana se si continuerà a salire ai ritmi degli ultimi giorni. Certo, è stato comprensibile e giustificato festeggiare il mancato tapering da parte della Fed e l’uscita dal coma dell’Europa, ma la festa sta trasformandosi in una celebrazione permanente che comincia a muoversi sopra le righe. Continuando di questo passo, a fine 2013 avremo già raggiunto i livelli (1850-1900) che il consenso degli strategist indica per l’SP 500 di fine 2014.
Commentatori come Larry Fink e Bill Gross parlano di bollicine e di bolle vere e proprie che si cominciano a vedere su quasi tutte le classi di asset. Effettivamente non può passare inosservato il contrasto tra una politica monetaria che viene condotta (e bond che sono prezzati) come se ci trovassimo in una pesante recessione senza uscita da una parte e, dall’altra, un mercato azionario che sta adottando valutazioni da crescita vigorosa e multipli da ciclo positivo sostenibile nel tempo. In questo sta la differenza tra la bolla in formazione in questa fine 2013 e le precedenti esperienze del 1999-2000 e del 2007, quando inflazione e tassi a breve erano intorno al 5 per cento e il Pil cresceva a una velocità doppia rispetto all’attuale.
La diversità più grande, in ogni caso, sta nel vissuto soggettivo di questi rialzi. Nelle due bolle precedenti si era creata una razionalizzazione, ovvero una narrazione, per cui il mondo era entrato in una fase nuova. I toni erano alti. Nel 1999-2000 si evocavano la rivoluzione tecnologica e la singolarità (un termine preso in prestito dalla fisica con cui si immaginava un buco nero di intelligenza artificiale che avrebbe inghiottito e accelerato oltre ogni immaginazione la storia umana). Nel 2007 ci si compiaceva per la stabilità ritrovata, per la forte crescita senza inflazione, per il superamento del ciclo, qualcosa che in economia è potente ed eccitante come l’idea di immortalità lo è per noi poveri mortali. Questa volta non c’è retorica. Nessuno si aspetta la costruzione della città celeste sulla collina e nessuno esalta i progressi della scienza economica, che è anzi piuttosto screditata. Tutti invece sappiamo, nel nostro intimo, che ci stiamo comportando come ci stiamo comportando perché la polizia ha annunciato che se ne starà chiusa nelle sue caserme ancora per qualche mese. Sentiamo la strana eccitazione che pervade le persone normali (non i ladri di professione) quando capiscono che possono rubare impunemente la marmellata.
Sappiamo che la festa un giorno finirà e che la legalità dei tassi verrà ripristinata, ma pensiamo che, quando arriverà il momento, la polizia tornerà per le strade lentamente e, almeno all’inizio, praticamente disarmata. Non pensiamo di svegliarci una mattina con i carri armati per strada, cioè con un crash, e ci avventuriamo dapprima con timore e poi con sempre più coraggio in zone della città che sapevamo proibite. Non ci sentiamo bravi e virtuosi come nei cicli precedenti, ma ci sentiamo stranamente liberi. E cominciamo in qualche caso a diventare sfrontati. La polizia ha un’ottima serie di scuse per non uscire per strada. Bernanke è a fine regno e solo a marzo la Yellen si insedierà al suo posto. Meglio aspettare. Poi c’è lo scontro a Washington su debito e fisco. Ora c’è la tregua, ma da febbraio in avanti si riprende e nessuno sa che cosa potrà succedere. Meglio attendere. I dati macro, dal canto loro, o sono deludenti oppure, se sono forti, sono di dubbia qualità perché arrivano dalle settimane di chiusura degli uffici governativi. Meglio non fare niente. Il confuso e pasticciato avvio della sanità per tutti dell’Obamacare paralizza le imprese e riempie di dubbi i compratori di polizze (che non riescono nemmeno ad acquistarle). Meglio non farsi vedere in giro.
Gli utili delle società stanno uscendo buoni, anche se c’è qualche vistosa eccezione. Il dollaro debole comincia a dare una mano. È difficile non pensare, tuttavia, che utili meno brillanti non sarebbero di ostacolo al rialzo delle borse. Quando i soldi sono per strada, prima li si va a raccogliere e poi, eventualmente, ci si chiede se era giusto che fossero lì.
C’è poi l’idea che i dati negativi sono in realtà positivi, perché allontanano il ritorno della polizia per le strade. Ma non ci si ferma qui e ci si convince a poco a poco che la fase della Grande Libertà durerà anche dopo che i dati saranno diventati stabilmente positivi perché i governi e la Fed, questa volta, vogliono con tutto il cuore l’inflazione. E poi, vedrete, si dirà che l’inflazione giova al fatturato delle società e alla loro capacità di alzare i prezzi e tenere alti i margini.
Perché, allora, auspicare un limite di velocità nel rialzo e perché non correre semplicemente a raccogliere i soldi per la strada senza farsi troppi problemi? Per quattro ragioni.
La prima è che un rialzo troppo veloce imbarazzerebbe le banche centrali, che si vedrebbero ogni tanto costrette a fare tintinnare le sciabole (senza peraltro usarle) per creare volatilità (e sappiamo che la volatilità produce più perdite che guadagni nella maggior parte dei portafogli). La Fed potrebbe ad esempio, come invoca Bill Gross, ricorrere a misure macroprudenziali come l’innalzamento del deposito per gli acquisti di azioni a margine (fermo da decenni al 50 per cento). Sarebbe una misura perfettamente aggirabile attraverso l’uso dei derivati, ma il valore simbolico del gesto verrebbe compreso da tutti e rallenterebbe per qualche tempo il rialzo.
La seconda è che un rialzo disordinato porta con sé un’allocazione subottimale dei capitali, un modo cortese per dire che si buttano al vento tanti soldi correndo dietro ai titoli che salgono solo perché stanno salendo (e non per i loro eventuali meriti specifici). Richard Koo sostiene da anni che la bolla di Internet indusse le grandi imprese tedesche a strapagare le società tecnologiche che acquistavano in America e che già due anni più tardi non valevano più niente. Il buco che si produsse allora nei loro bilanci indusse la Germania a premere sulla Bce affinché mantenesse tassi anormalmente bassi. Il risultato fu che le banche tedesche, in cerca di rendimento, investirono aggressivamente in titoli italiani, spagnoli e greci, creando un surplus di capitali che fu a sua volta sperperato. Ne seguì, nel 2011, il ritiro tedesco dal Mediterraneo e il crollo delle nostre economie, ormai periferiche.
La terza è che, nell’ebbrezza del rialzo, ci siamo dimenticati di una lunga serie di rischi esogeni che un tempo ci preoccupavano molto. La geopolitica è totalmente scomparsa, con l’ipotesi implicita che il mondo resterà in pace per sempre. Le siccità, i terremoti, gli uragani e gli altri atti di un cielo possibilmente collerico sono spariti dal nostro futuro. Le epidemie, che negli inverni del decennio scorso hanno spesso causato correzioni di borsa significative, sono debellate definitivamente dai nostri pensieri anche se i nostri antibiotici sono sempre più deboli di fronte a batteri sempre più forti. Più la bolla dovesse gonfiarsi, più pericoloso sarebbe il ripresentarsi di uno qualsiasi di questi rischi.
La quarta è che la crisi europea è in fase di remissione ciclica. Il debito di molti paesi, tuttavia, continua tranquillamente a crescere, incurante dei nostri festeggiamenti. Nelle stime di Citi il debito italiano sarà alla fine del 2014 del 136 per cento del Pil, quello portoghese sarà salito al 144 e quello greco al 192. Un modesto rallentamento della crescita globale, una correzione di borsa o un cenno di possibile rialzo sui tassi troveranno un’Europa ancora fragilissima. Questi rischi non vanno necessariamente prezzati. Non è razionale fasciarsi la testa prima di essersela rotta. È però importante ricordarsi della loro esistenza prima di lasciarsi prendere la mano e usare livelli di leva pericolosi.
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