ROMA (WSI) – Il curriculum di tutto rispetto di Carlo Cottarelli fa di lui il candidato ideale per poter riuscire dove i suoi predecessori hanno fallito, riducendo la spesa pubblica italiana, non attraverso tagli lineari, ma in maniera giudiziosa.
Dovrà prima vincere l’ostruzionismo della potente burocrazia della ragioneria di Stato che già ha creato non pochi problemi in passato e che ora è passata sotto la guida di Daniele Franco, ex Bankitalia.
Esaminando i dati del ministero delle Finanze nel 2002, l’economista Gustavo Piga professore all’università di Tor Vergata, ha scoperto che centinaia di soggetti locali e nazionali hanno pagato troppo per ricevere beni e servizi dallo Stato, ignorando le norme stabilite da Consip, agenzia del Tesoro impiegata al servizio esclusivo della Pubblica Amministrazione.
Scrivanie che avrebbero dovuto costare 282 euro sono state comprate a 723 euro, mentre i computer sono costati il 30% in più, e le chiamate dalle linee telefoniche fisse il 333% in più.
Un rapporto della Camera rivela come i funzionari del centralino o parrucchieri guadagnano 50 mila euro l’anno dopo 10 anni di servizio, pari al doppio del reddito medio nazionale.
Se le norme di Consip venissero seguite alla lettera, il settore pubblico spenderebbe 30 miliardi in meno l’anno, una cifra di gran lunga superiore ai €3,7 miliardi che Cottarelli punta a risparmiare entro il 2015.
Nonostante l’Italia abbia una reputazione (giustificata) di uno stato che si lascia andare agli eccessi e agli sprechi nel settore pubblico, negli ultimi tre anni il nostro Paese è in linea con la media Ue. Le spese totali sono state di gran lunga inferiori al 50% del Pil. Il numero di funzionari statali è stato ridotto del 4,3%, con quelli rimasti che hanno visto congelati i salari.
L’Italia ha speso €1.913 per persona in copertura assicurativa nel 2011, meno di Regno Unito e Francia, ma la qualità del servizio continua a lasciare a desiderare, in un settore, come sottolinea il Financial Times, che deve fare i conti con inflitrazioni mafiose e corruzione nella concessione degli appalti a livello locale.
Secondo la Consip, che vuole collaborare con Cottarelli, il cuore del problema è la frammentazione di un sistema che ha consentito a 32 mila entità amministrative, da Roma alle altre località, di presentare offerte pubbliche. A pesare è anche stata la mancanza di supervisione in base alle leggi esistenti.
Il predecessore di Cottarelli, scelto da Mario Monti, Enrico Bondi, ha perso la sua personale sfida. Francesco Giavazzi noto ecomomista della Bocconi e editorialista del Corriere della Sera, aveva proposto di ridurre i sussidi e aiuti statali inefficienti alle corporazioni, per risparmiare €10 miliardi. Ma i politici che hanno provato a implementare tali misure sono usciti sconfitti. Le lobby hanno avuto l’ultima parola.
La scelta di Daniele Franco nel ruolo di Ragioniere generale di stato potrebber rendere più facile l’arduo compito di Cottarelli. “Ma il problema vero è politico”, ha detto al Financial Times il professore, chiedendosi se il premier Enrico Letta “voglia veramente scontentare qualcuno con i tagli?”
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Cottarelli ha tre anni per riuscire nell’impresa. Zavorrata da 2 mila miliardi di euro di debito pubblico – di cui 115 miliardi che fanno capo alle autorità amministrative – l’Italia ha bisogno che la spending review sia un successo.
Altrimenti la coalizione di governo non riuscirà a fare uscire l’economia dal pantano della recessione dove si trova da ormai due anni, riducendo la pressione fiscale e mantenendo al contempo il deficit sotto la soglia del 3% del Pil.
Dalle scuole, ai tribunali e agli ospedali, Cottarelli ha pronto un piano “sistematico” per definire gli standard in fatto di spese e necessità.
Saccomanni per esempio ha sottolineato che vanno ridotte le “enormi discrepanze” nel costo dei letti di ospedale tra il Sud e il Nord. Le autorità locali, ha fatto sapere il capo del Tesoro, sono state spesso “una fonte di spesa che non è controllata in modo appropriato”.
Nel difendere la legge di stabilità triennale, Saccomanni ha aggiunto che nel testo “per la prima volta si fa avanti l’idea che l’Italia non può finanziare all’infinito le spese governative indebitandosi ulteriormente”.
A quel punto il calcolo è molto semplice: se si vogliono evitare nuove tasse, bisognerà apportare tagli alla spesa.