LONDRA (WSI) – Nel secondo trimestre il deflatore del Pil dell’Eurozona è stato dell’1,6% più alto di un anno fa. L’indice dei prezzi al consumo nel frattempo è cresciuto di un mero 0,7% in ottobre. Sono cifre basse, che fanno preoccupare.
Vista così, la paura della deflazione della Bce e il taglio dei tassi conseguente sembrano giustificati. Tuttavia, la deflazione in alcune parti dell’unione monetaria non è la stessa cosa di una deflazione in tutti i Paesi, perché i suoi effetti internazionali sulla competitività non possono essere compensati da modifiche eventuali ai tassi di cambio.
Difatti, se vogliono correggere le distorsioni venutesi a creare prima dello scoppio della crisi dalla bolla inflativa del credito provocata dalla moneta unica, “Grecia, Spagna e Portogallo hanno bisogno di svalutare in termini reali di circa il 30% rispetto alla media dell’area euro”. Solo così potranno tornare competitive.
La Bce, pertanto, non dovrebbe agire per contrastare la deflazione moderata vista in questi Paesi, ma “piuttosto dovrebbe cercare di combattere il calo dei prezzi gonfiando i prezzi nel Nord d’Europa e in Germania in particolare”.
Per questo un approccio intransigente e non improntato al lassismo è necessario. È il parere contrarian espresso sulle colonne del Financial Times da Hans Werner-Sinn, economista tedesco noto per i suoi punti di vista conservatori e da falco.
Il presidente dell’Istituto Ifo per le Ricerche Economiche cita i dati relativi all’inflazione per rassicurare chi teme in una fase di deflazione in stile giapponese, che sarebbe una vera e propria catastrofe.