MILANO (WSI) – Ci sono tanti modi di andare in alta montagna. C’è quello degli alpinisti di una volta, ad esempio. Ci si allena a lungo in pianura o a fondovalle, si organizza la spedizione meticolosamente, si attinge dai racconti e dalle esperienze dei vecchi scalatori e finalmente si parte verso l’ultimo borgo della valle, là dove finisce la strada e iniziano i sentieri tra i prati. Da qui, fatte le ultime provviste, ci si avvia verso il livello della neve perenne con calma e con pernottamenti nei rifugi, non per incapacità di andare più in fretta ma per ambientarsi meglio all’altitudine e per verificare strada facendo l’organizzazione della spedizione.
Arrivati finalmente in quota, si piantano le tende sulla neve e si costruisce il campo base. Ci si resta qualche giorno, ci si riposa e ci si abitua all’ossigeno rarefatto. Nel frattempo si verifica ancora una volta l’attrezzatura e si aspetta che il tempo volga al bello. Da una certa quota in su in montagna non si scherza. Il tempo può cambiare improvvisamente e quella che sembrava una passeggiata si può trasformare in un calvario o in una tragedia. Si consultano quindi gli sherpa e le guide locali, che sanno leggere i segni del cielo, e poi si parte lenti, in cordata, per la cima. Gli alpinisti professionisti di oggi saltano alcuni di questi passaggi. Hanno dalla loro parte la tecnologia, i satelliti, la biochimica e sponsor robusti. Spesso peccano di hybris e in qualche caso pagano caro l’eccesso di fiducia. Di solito però se la cavano, perché hanno comunque esperienza e perché sanno quello che fanno e quello che rischiano.
Ci sono poi gli alpinisti della domenica, persone degnissime e certamente amanti della natura che si dividono, salvo eccezioni, in due categorie. Ci sono quelli che chiudono casa in città con la piccozza già in mano, lo zaino in spalla e il maglione norvegese addosso anche se è Ferragosto e l’obiettivo da scalare è un delizioso monticello verde popolato dalle pecore sui primi contrafforti prealpini.
Nell’altra categoria rientrano quelli che arrivano in elicottero al campo base dopo una notte di baldoria in città e, come Clark Kent nella cabina telefonica quando si cambia d’abito e diventa Superman, si sfilano la cravatta e il gessato e restano con la tuta termica che la Nasa sta ancora sperimentando per le passeggiate spaziali. Abituati a non perdere tempo e forse leggermente intossicati dall’altitudine, costoro si avviano subito verso la cima correndo e cantando, come fanno i Marines.
Dopo quasi cinque anni di rialzo azionario, le previsioni sul 2014 che in questi giorni le case grandi e piccole stanno pubblicando dicono quasi tutte tre cose. La prima è che le borse saliranno. La seconda è che saliranno di una percentuale compresa tra il 5 e il 10 per cento. La terza è che l’economia globale andrà meglio nel secondo semestre. Ci sono molte buone ragioni per avanzare queste tre ipotesi, che per inciso ci paiono onestamente condivisibili. Bisogna però ammettere che è terribilmente disturbante il fatto che tutte e tre vengano regolarmente proposte identiche a ogni fine anno per l’anno successivo fin da quando eravamo piccoli (e probabilmente anche da prima).
Non è però su queste idee di consenso che ci vogliamo soffermare bensì su quella che una minoranza agguerrita e rumorosa sta cominciando a esprimere con crescente sicurezza. Si tratta dell’idea per cui il bello deve ancora arrivare. Questi anni di rialzo, si afferma, sono stati solo la lenta preparazione ai fuochi d’artificio, questi sì spettacolari, che vedremo da qui in avanti. La ragione? L’economia globale in miglioramento, certo, ma in misura ancora maggiore il vero motivo del turborialzo, l’arrivo in massa (e sempre più visibile) degli alpinisti della domenica. Le moltitudini, come le chiamerebbe Toni Negri.
La prima categoria di alpinisti della domenica, quella con il maglione norvegese che punge come il cilicio, ha peccato come al solito di eccesso di prudenza. Ha affrontato questi cinque anni di borse ampiamente sottovalutate (e di banche centrali che giravano per le strade con gli altoparlanti che invitavano la popolazione a comprare azioni e ad arricchirsi) pensando di dovere affrontare la parete finale del monte Olympus di Marte, a quota ventunomila metri.
La paura ha costretto questa categoria a soffrire moltissimo per i suoi guadagni e a limitarli comprando inutili coperture, uscendo prestissimo per portare a casa piccoli utili salvo poi rientrare più in alto e annacquando le azioni in un mare di bond e di cash. Poiché nessuno è mai morto per eccesso di prudenza, questi investitori, che pure qualcosa hanno guadagnato, avranno vita lunga. Non sarà di loro che ci si dovrà preoccupare.
Che dire però degli alpinisti della domenica del secondo gruppo, quelli che stanno atterrando sui ghiacci del campo base in questo momento? Hanno visto che il mercato è invincibile e si sono convinti che tutto andrà bene (o sarà obbligato ad andare bene dalle banche centrali). Hanno capito che la Fed e la Banca del Giappone fissano ormai per decreto il livello delle borse, vedono che i bond galleggiano sempre più faticosamente e ora sono pronti, con il dinamismo che li caratterizza, a fare una scommessa pesante che li porti a fare in tempi brevi più soldi di quelli fatti da chi è restato in questi anni nel mercato.
Alcuni di loro saranno fortunati e forse anche brillanti.
Cercheranno e troveranno scorciatoie spettacolari (la nuova generazione di Ipo legate a servizi per il grande pubblico attraverso Internet) e, a condizione che un angelo li avvisi in sogno quando sarà il momento di vendere, faranno tanti soldi quanti se ne fecero nel settore nel 1999 e nella primavera del 2000. Altri useranno lunghe leve o acquisteranno call al momento giusto. Altri ancora faranno trading al rialzo e faranno media le poche volte che si troveranno a perdere, in modo da guadagnare ancora di più quando il mercato, invariabilmente e in breve tempo, si riprenderà.
La maggioranza, però, scivolerà prima o poi sulle pareti ghiacciate, subirà i venti gelidi della volatilità e chiuderà nel panico e in perdita posizioni troppo estese. Molti riusciranno comunque a guadagnare, ma la mancanza di disciplina e di consapevolezza li indurrà a restare nel mercato troppo a lungo e a subire la prossima correzione severa o addirittura il prossimo bear market (sarà tra mille anni ma arriverà, possiamo stare tranquilli).
A chi arriva adesso al campo base in elicottero o con il paracadute diamo certamente il benvenuto. Meglio tardi che mai. C’è del resto ancora molta strada da fare. Siamo a quota seimila, sulle Ande o sul Pamir o sull’Hindu Kush o sull’Himalaya, e ci sono ancora due-tremila metri da scalare nei prossimi due-tre anni. E poi chissà, ci si può trasferire su Marte, dove le montagne sono così alte da apparire come grossi foruncoli su una sfera rugosa, per sfide ancora più eccitanti. Sia chiaro però che la parete che separa il campo base dalla cima non è affatto la parte più facile del viaggio, ma la più difficile. Ex ante può apparire facile, perché è a portata di mano, perché siamo già arrivati a seimila e perché oggi c’è uno splendido sole.
Già a metà gennaio ci saranno però le nuove dispute di bilancio a Washington e il clima politico è pessimo. A marzo la Fed non avrà molte scuse per rinviare ancora il tapering e se lo farà vorrà dire che l’economia sarà di nuovo debole. E non si potrà andare avanti in eterno con un’economia debole e una borsa sempre più forte, una circostanza, dovesse verificarsi, che imbarazzerà sempre di più la Fed.
Il 2014 sarà un anno da trading (auguri), da rotazioni e da stock picking. I bond non aiuteranno molto. Probabilmente non scenderanno troppo, ma saranno nervosi. Alla fine c’è da scommettere che la borsa salirà, ma questo non vuol dire che sarà un anno divertente. Ai nuovi arrivati consigliamo quindi di comportarsi il più possibile come gli alpinisti di scuola classica, che vivranno il 2014, o almeno la prima metà, come la fase in cui si prende fiato nel campo base e si studiano minuziosamente tutti i percorsi possibili prima di rimettersi in cammino.
Suggeriamo inoltre di non correre dietro alle sirene del nuovo Internet e di concentrarsi su solidi titoli ciclici con multipli relativamente bassi (c’è ancora qualcosa). Quanto alle rotazioni, l’attuale marcata debolezza dei petroliferi e corrispondente forza delle linee aeree delle raffinerie è un esempio di quanto continui a muoversi il mercato sotto la superficie apparentemente immobile dell’indice.
Nel breve, vorremmo continuare a rosicchiare ancora qualcosa di qui a fine anno per poi creare un po’ di liquidità nei primi giorni dell’anno nuovo.
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