Economia

Europa, la vera minaccia non è la Germania

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BRUXELLES (WSI) – Questo bisogna riconoscerglielo: Angela Merkel non è in una posizione invidiabile. La Cancelliera tedesca è stata sottoposta al fuoco amico e nemico, da un po’ tutti i fronti, anche in patria. Prima per la performance stellare delle sue società esportatrici nei mercati internazionali. Poi i critici hanno iniziato ad accusarla di avere battuto ritirata da quel processo di riforme economiche che sono alla radice del successo ottenuto sin qui.

Anche filo europeisti e padri dell’euro come Romano Prodi hanno incominciato ad attaccare le politiche della Germania, accusata di egoismo e di aver scavato un buco tra i Paesi del Sud e del Nord d’Europa. Un divario che man mano che vengono pubblicati dati macro sembra sempre più evidente.

Secondo la narrativa popolare (e anche populista) con l’ennesimo no agli Eurobond, Berlino si è rifiutata di correre in soccorso della periferia in difficoltà dell’area euro. Il suo saldo primario da record, che al 7% del Pil sfora i limiti europei, ha spinto Grecia, Spagna, Portogallo e altri in una fase di deflazione selvaggia.

L’unione monetaria, sostengono i critici, non è la colpa delle economie deboli del Sud d’Europa, ma della super competitività tedesca. C’è tanto di vero in tutto questo, sia ben chiaro.

La Germania avrebbe dovuto e potuto fare di più per alimentare l’economia europea in quei Paesi in cui la domanda interna è collassata. Berlino potrebbe per esempio mettere da parte le paure per l’inflazione che la ossessionano dai tempi della Repubblica di Weimar, in particolare ora che il pericolo è ben lontano.

L’austerità, scrive il Financial Times in un’editoriale di Philip Stevens, a volte è la pillola amara da ingoiare per guarire, ma non deve mai diventare un mantra o una religione.

Detto questo l’impatto sarebbe stato comunque marginale: “un po’ di crescita ulteriore venuta dalla Germania non avrebbe materialmente ridotto i dolori provocati dagli aggiustamenti fiscali e strutturali di cui comunque il Sud aveva bisogno”. Persino i britannici, che si felicitano per aver mantenuto le distanze dal progetto dell’euro fin dall’inizio, hanno dovuto condividere con il resto d’Europa la miseria post scoppio della crisi.

Gli accordi firmati da SPD e CDU per formare la coalizione di governo dovrebbero ipoteticamente aumentare la domanda interna e rendere l’industria tedesca un po’ meno competitiva di quanto sarebbe stata altrimenti altrove.

La verità non è nella ricetta stabilita per la Germania dall’intesa tra socialdemocratici e centro destra, ma in quello che dice su un problema che affligge tutta l’Europa: la globalizzazione ha rivoltato il mondo sottosopra. L’Europa fa come se nulla fosse.

Il problema di tutto il continente è l’avversione cronica a prendere decisioni rischiose. “L’euro non ha reso la vita facile alle autorità d’Europa, ma curiosamente ha cristallizato la scelta tra modernizzazione e stasi”.

I deficit fiscali contano, così come i costi del lavoro. Ma quello che l’Europa sembra non afferrare, è che il dinamismo economico che viene dalla volontà di innovarsi, di intraprendere nuove strade.

Secondo il quotidiano finanziario l’immobilismo dei leader europei deriva da standard di vita ancora alti e da una popolazione in progressivo invecchiamento.

Non fare nulla è una scelta politica come cambiare tutto. L’unica speranza dell’Europa di continuare a conservare la prosperità a cui è abituata dagli Anni 60 e di continuare l’ordine politico liberale è di abbracciare il cambiamento necessario.

Merkel è un leader conservatore, ma la Germania ha fatto meglio del resto dell’Europa quando si tratta di adattarsi alle nuove regole della globalizzazione. “La vera minaccia per l’Europa è l’Europa stessa, non la Germania”.

L’impressione è che le migliori imprese italiane siano in balìa di condizioni esterne che non dipendono da loro. Germania e Cina, invece, danno l’impressione di avere la situazione in mano: sono due grossi poli che producono all’interno e esportano tantissimo. Non a caso sono due delle economie più solide e prospere al mondo.