ROMA (WSI) – Porcellum de-porcellizzato? Mattarellum? Francese? Magiaro? Australiano? Niente di tutto questo. Arriva la proposta di riforma elettorale di Matteo Renzi. Si tratta di una proposta di legge depositata alla Camera e firmato da deputati di un po’ tutte le aree del Pd, dal 10 dicembre si trova in prima commissione per essere esaminato, discusso e possibilmente approvato.
E’ il Renzellum. E’ la proposta che traduce nel modo più vicino al volere del nuovo leader l’indicazione del «sindaco d’Italia», progetto sostenuto fra gli altri dal professor Roberto D’Alimonte, molto ascoltato dai democrat e non solo. Prevede un doppio turno di coalizione se nessuno al primo turno supera la soglia del 40 per cento; affronta il problema del Senato con l’attribuzione del premio sul piano nazionale ma ripartito su base regionale; contempla le preferenze ma con apposite e restrittive norme per le spese elettorali; e prevede il ridisegno di circoscrizioni più piccole su base provinciale, con il che la legge assume aspetti più maggioritari. Primo firmatario è Michele Nicoletti, docente di filosofia politica, ex segretario del Pd trentino. Seguono fra gli altri le firme di Rosy Bindi, Monaco, Miotto, Preziosi, Sanna (lettiano), Madia, e c’è anche un deputato di Sel, Florian Kronbichler, di Brunico.
DUE TAVOLI
Renzi può ora giocare su due tavoli: avere la propria proposta, da far discutere e possibilmente approvare assieme a quante più forze ci stanno, una legge che salvaguardi «la democrazia dell’alternanza» senza prevedere ritorni al proporzionale puro, una prospettiva definita «del tutto irresponsabile» nella relazione che accompagna il testo. Sull’altro versante c’è sempre il Mattarellum come possibile ricaduta di un’intesa con altre forze, non necessariamente ristrette all’attuale maggioranza. «Io non voglio costruire nuove coalizioni sulla legge elettorale, però quella materia non è un’esclusiva della maggioranza», ha ragionato Renzi con i suoi.
LA STRATEGIA
Il primo a sapere che la riforma delle regole del gioco è una corsa contro il tempo è proprio lui, il sindaco, «ora che sono segretario non posso permettermi di sbagliare una mossa», altro ragionamento con i fedelissimi. Dunque? Renzi scorge un Alfano «impaurito» in materia elettorale, ma avverte che «se lui vuole mandare le cose per le lunghe, io non mi faccio rallentare da lui, tutti si dovranno assumere le proprie responsabilità davanti al Paese di affossare le riforme».
Quanto a Grillo, il leader pd non ci fa affidamento: «A quello non interessa fare la riforma elettorale né con noi né con altri, gli interessa solo dimostrare che la politica fa schifo e che i partiti sono impotenti». La materia c’è, ormai incardinata. Toccherà adesso a Franceschini, ma soprattutto a Delrio, vero punto di riferimento renziano al governo, spingere la navicella perché proceda spedita.
Si è intanto tornato a far sentire Romano Prodi, con un’altra gelata sul capo dei democrat. «Non sono iscritto al Pd, quindi non entro nella direzione», ha precisato tramite ufficio stampa. Il motivo? Il Professore è irritato: all’assemblea nazionale pd nessuno lo ha citato o salutato, «tranne Zoggia».
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