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Italia ed Eurozona: deflazione o ripresa?

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NEW YORK (WSI) – Deflazione, ripresa o nuova recessione? Cosa attende al varco l’Italia e l’area euro? Nemmeno le banche centrali hanno le idee chiare in materia. Per l’editorialista del Telegraph Ambrose Evans-Pritchard sarà deleterio il declino dei prezzi del petrolio, un evento che si fa sempre più probabile con il passare dei mesi. Una serie di economisti riuniti da Wall Street Italia intorno a una tavola rotonda virtuale hanno provato a dare una risposta.

Provando a ragionare in maniera logica, per l’economista della NYU Alberto Bisin ci si può anticipare una riduzione dell’inflazione nei paesi più indebitati e fragili dell’Eurozona e nella Francia. L’importante è che l’indebitata Italia non cerchi di attingere dalla spesa pubblica per sostenere la domanda aggregata.

Per il professore della Columbia University Guillermo Calvo a pagare con una fuga di capitali sarà un’area tra moneta unica e mercati in via di Sviluppo. L’Eurozona rischia una spirale di sfiducia e deflazione dello stesso debito.

Nel suo editoriale pubblicato sull’Economist Calvo dice di non poter dire in questo momento chi vincerà questa partita, che definisce simile a un «tiro alla fune».

Secondo Andrea De Gaetano, strategist di MC Capital, l’Italia è al bivio tra crollo dei prezzi e iperinflazione. Ce lo insegna la storia.

Paolo Mannasse è allarmato dalle ultime tendenze dei tassi di inflazione, “più preoccupanti di quanto non fosse a novembre”. L’aumento dei tassi reali di interesse causa inevitabilmente problemi alla sostenibilità del debito pubblico. La Bce ha ancora frecce al suo arco, ma non sembra avere la leva politica negoziale per poter usufruirne.

ALBERTO BISIN

Siccome non è possibile fare previsioni senza ricorrere a modelli economici sofisticati, facendo affidamento a ragionamenti puramente logici si può anticipare una riduzione dell’inflazione nei paesi più indebitati e fragili dell’Eurozona e nella Francia, che in questo momento si trova in una sorta di limbo tra area periferica e core.

Bisin non crede possibile dare una risposta esatta. “È possibile che vi sia una ripresa in alcuni paesi ed uno stallo in altri. La riduzione nell’inflazione nei Piigs ed in Francia è con ogni probabilità configurabile come un effetto di domanda aggregata, ma la domanda aggregata dipende anche (positivamente) dalle aspettative di crescita e (negativamente) dall’incertezza riguardo alla situazione macroeconomica futura”.

L’importante è non attingere alla spesa pubblica nella fretta di voler alimentare la domanda aggregata. “Cadere nella solita trappola ideologica che l’unico modo di supportare la domanda aggregata sia spesa pubblica oggi, in un Paese con una difficile situazione di bilancio e una struttura istituzionale che trasforma ogni spesa in una distribuzione inefficiente e clientelare delle risorse, ci lascerà al declino”, è il monito lanciato dall’economista di stampo liberista. “Che esso si manifesti con deflazione o meno, non so; né so quanto veloce sarà il declino, ma che sarà declino non dubito affatto”.

GUILLERMO CALVO

L’economista di origini argentine americane è convinto che una regione tra i mercati in via di Sviluppo e l’area euro subirà gli effetti di una ripresa Usa, nella forma di una fuga di capitali verso gli Stati Uniti. Il paradosso è che la crescita della maggiore economia al mondo dipende dalla solidità delle regioni sopra citate. Un leggero indebolimento di una di queste regioni sarebbe sufficiente a cambiare gli equilibri nella direzione opposta.

Calvo è convinto che se sarà l’Eurozona a subire le conseguenze di questo sbilanciamento, i grandi investitori ridurranno l’esposizione dei loro portafogli verso il Vecchio Continente, causando un deterioramento dei canali creditizi. Questo potrebbe far precipitare l’area della moneta unica in una fase di deflazione dei prezzi. Molto dipenderà dal ruolo che eserciteranno le banche e come l’uso del collaterale faciliterà le transazioni finanziarie.

Una caccia agli asset qualità potrebbe essere controproducente in una regione, l’Eurozona, ampia con una moneta unica e una banca centrale avversa all’inflazione. Rischia infatti di rafforzare l’euro e portare a una deflazione dei prezzi. Sarebbe il «bacio della morte» per il settore reale dell’economia del blocco a 18, secondo il Professore di economia, affari pubblici e internazionali alla Columbia University.

Contrariamente alle condizioni innescate da un aumento dei prezzi, come l’indebolimento della competività, la deflazione potrebbe infatti far entrare in gioco due elementi letali, la deflazione del debito, ovvero l’aumento del valore del passivo statale non indicizzato alle variazioni di prezzo, e aspettative negative circa un calo continuo dei prezzi. Il primo fattore provoca una erosione della liquidità, il secondo un abbassamento dei livelli di domanda aggregata.

ANDREA DE GAETANO

Per il Foreign Exchange & Fixed Income Specialist di MC Capital fare previsioni è “molto difficile anche per i Governatori delle Banche Centrali. Con questa premessa, l’elevato livello dei debiti pubblici e privati dovrebbe indurre le Banche Centrali a tenere i tassi d’interesse bassi il più a lungo possibile”. Una cosa è certa, secondo l’analista “l’elevato livello di indebitamento globale (in aumento costante) rende fragile la ripresa di cui iniziano ad esserci timidi segnali”.

“Storicamente, tassi d’interesse tenuti artificialmente bassi per tempo prolungato (come nel momento che stiamo vivendo), iniezioni di liquidità e/o stampa di carta moneta hanno spesso portato ai due estremi opposti: inflazione/iperinflazione (più frequentemente) o deflazione, come nel caso del Giappone. Fenomeni che di solito si manifestano improvvisamente”.

PAOLO MANNASSE

Il professore di Economia dell’Università di Bologna dice: “Se guardiamo ai tassi di inflazione annuali nei paesi dell’EU27 a prima vista non sembrerebbero esserci grandi motivi di preoccupazione, poichè, in novembre, solo la Grecia, Cipro, Lativa e la Bulgaria sono in deflazione.

Tuttavia, le tendenze più recenti (inflazione sul mese precedente) mostrano un quadro più preoccupante: in tutti i paesi l’inflazione ha o segno negativo o vè peossima allo zero (Belgio, Germania, Spagna, Austria; Romania, Finlandia, UK, Islanda e Norvegia). Oltre al primo possibile effetto negativo su consumi e investimenti e sulla redistribuzione del reddito dai debitori ai creditor, l’aumento dei tassi reali di interesse causa inevitabilmente problemi alla sostenibilità del debito pubblico.

Anche se in linea di principio la BCE ha ancora frecce al suo arco, il fatto che ci si sia così tanto allontanati dall’obiettivo dell’inflazione al 2% suggerisce che forse non è in grado (politicamente, per l’influenza tedesca?) di usarle”.