ROMA (WSI) – Banche e assicurazioni in festa per la privatizzazione delle Poste, coerentemente annunciata a Davos dal ministro Saccodanni. Dalla vendita del 40%, il governo di Aspenio Letta si attende di incassare quattro miliardi di euro entro l’estate. Ne servono poi altri quattro per soddisfare le ulteriori richieste di Bruxelles. Che ci fa il debitore Italia con questi quattro miliardi?
La risposta non è facile, ma potremmo ricordare che nel 2014 lo Stato dovrà pagare più o meno 54 miliardi di euro di interessi sul debito pubblico. E basta un rapido calcolo per capire che con questa “privatizzazione” ci si paga un mese di interessi sul debito. E’ come se uno si vendesse una ricca tenuta in campagna per pagare una rata del mutuo. Ma c’è di peggio.
Che cosa sono oggi le Poste? I giornaloni di Lor signori in gran parte glissano e c’è da capirli, considerati i loro veri padroni. Tuttavia il Sole 24 Ore, che ha il dovere dell’approfondimento, ha l’onestà di ricordare che l’80% del fatturato di Poste arriva dalle attività di banca-assicurazione, con il primo posto nel ramo Vita, la potenza di fuoco dei servizi bancari offerti agli sportelli (prestiti esclusi) e quei 18 milioni di carte prepagate che fanno dannare banche e assicurazioni. Quello che il Sole non dice è che Poste è un concorrente scomodo per banche e assicurazioni di casa nostra, perché ha una rete formidabile (mentre loro l’hanno tagliata) e offre servizi più che discreti a prezzi quasi imbattibili.
Oggi tutti a concentrarsi sulle azioni scontate ai dipendenti e le solite panzane roboanti sulla “public company”. Invece i veri problemi dell’operazione sono due, oltre all’insensatezza della vendita ai soli fini dichiarati di riduzione del debito. Il primo è che sarebbe bello che Er Gelatina e il presidente Massimo Sarmi ci dicessero se dopo la privatizzazione i costi dei servizi di Banco Posta e Poste Vita saranno quelli di adesso.
Il secondo è che quando Saccomanni – che ha già detto un sibillino “si parte con il 40% poi si vedrà” – avrà finito di cedere le Poste “ai privati” non vorremmo scoprire che questi privati, magari al termine di una serie di passaggi intermedi, altro non sono che quelle banche e quelle assicurazioni che da anni combattono le stesse Poste.
Non sarà infine simpatico ricordarlo, ma Aspenio Letta è profondamente legato ad Abramo Bazoli e Saccomanni è un ex direttore generale di Bankitalia. Se non riescono a piazzarlo su qualche poltrona europea, vogliamo scommettere che nel giro di un paio d’anni anche Er Gelatina, come molti suoi predecessori, si accomoderà su una qualche poltrona bancaria?
Con questo grumo di interessi inconfessabili e intangibili che abbiamo appena descritto, fa veramente sorridere che Lettanipote ieri sera abbia scoperto a babbo morto il famoso conflitto d’interessi berlusconiano. Neppure come acceso tifoso milanista, il caro Aspenio aveva mai sospettato alcunché. Il fine vagamente strumentale della sua sortita è riassunto in prima pagina da Repubblica: “Riforme, Letta sfida Renzi. ‘No alle liste bloccate, ora una legge sul conflitto d’interessi”. La Stampa osserva che “Letta spiazza il Pd su legge elettorale e conflitto d’interessi. Messaggio in codice a Renzi: io Berlusconi l’avevo estromesso” (p. 3). Infatti parlava solo con zio.
Se l’Italicum dovesse andare avanti, Palazzo Chigi è pronto a vietare il possesso di banche a chi ha concessioni tv, a garantire per legge la par condicio assoluta dei figli in azienda e a vietare l’impianto di capelli tinti e l’utilizzo dei rialzi nelle scarpe per gli uomini. Infine, sarà considerato reato portare a dimagrire un dipendente in una Beauty farm (decreto Alfano-Verdini, detto anche “legge Toti”).
Immediata comunque la risposta dal fronte renziano: “Il sindaco avverte governo e maggioranza: ‘Se saltano le riforme si va a votare’. I renziani: ‘Legge antitrust? Enrico provoca, se ne ricorda solo ora” (Repubblica p. 7). Per il Corriere, “Legge elettorale, pressioni per cambiarla. Grillo: è contro di noi. Renzi: ‘Sì a modifiche solo se accolte da tutti'”. Il popolo sarà ansiosissimo di sapere che “i problemi sono su preferenze di genere, collegi e soglie” e che “la minoranza pd è all’attacco” (p. 8).
Si muovono anche i cespugli, giustamente, come racconta il Messaggero di Calta-papà: “I ‘piccoli’ studiano le contromosse. Alfano sonda Casini: uniti più forti” (p. 7). Ed è interessante, oltre che interessato, lo spunto di Flavio Tosi che dice a Libero: “Senza Lega è perduto. Il Cav fa solo finta di accordarsi col Pd. Berlusconi e Letta puntano a cacciare Letta e correre a elezioni anticipate” (p. 7).
Dunque tutti i pasticci vengono al pettine, per il miliardario peggio difeso d’Italia: “Ruby, testimoni corrotti’. Indagato Berlusconi. Sotto inchiesta anche gli avvocati Longo e Ghedini. Il Cavaliere, giustizia ingiusta, io in campo fino alla fine” (Corriere, p. 11). Come ricorda Paolo Colonnello sulla Stampa, sarà anche “un atto dovuto” ma alla fine potrebbe anche costargli una condanna a 10 anni di carcere, senza contare i sette già presi in primo grado per Ruby (p. 9). Libero fa un totale-choc e titola in prima pagina: “Berlusconi rischia 32 anni di galera” (p. 1). Come se non fossimo in Italia.
Poi arriva l’olgettina Michelle Conceicao, elegantissima come sempre, e fa godere il Cetriolo Quotidiano: “Noi agli ordini di Silvio, ma lui resta ricattabile’. ‘Il presidente ha fatto regali a chiunque, dalle case alle auto. I 2.500 euro? Mancette. Molte presentano ancora il conto e la Pascale sa tutto. Spero che Francesca riesca a resistere, è brava e tosta, deve difendersi dalle invidie, dalle gelosie. Riuscirà” (p. 5)
Intanto la Repubblica di Sorgenio De Benedetti fa un po’ i conti in tasca al Banana: “Nel mirino case, Milan e Olgettine. La spending review del Cavaliere. Ma l’austerity sta finendo. Mediaset in Borsa ha messo il turbo. Dopo il divorzio e i guai giudiziari l’ex premier ha chiuso Macherio, in bilico Palazzo Grazioli. Recente la vendita del 5,6% di Mediolanum che gli ha fatto incassare 250 milioni” (p. 4).
Imperdibile il grido d’allarme che arriva dal lago di Garda: “Aiuto, Toti non ha perso un etto”. Il futuribile delfino del Cavaliere non riesce a smaltire le trippe, nonostante lo tengano a tisane e verdure (Cetriolo Quotidiano, p. 5). Perquisitegli l’armadietto.
Mentre si fa un regalone alle banche privatizzando Bankitalia – anziché nazionalizzarla come prevede una legge del 2005 – e ripartono le famose privatizzazioni all’italiana, lo Stato si conferma un colabrodo senza pari. Giusto qualche numero per vergognarsi un po’ anche oggi: “Evasione sul 3% del Pil italiano, oltre 50 miliardi sottratti al fisco. Sconto di 1 miliardo sui premi Inail.
Rientro capitali, decreto in arrivo. O risultati 2013 della Guardia di Finanza. Saccomanni: ‘Mi dispiace per le difficoltà fiscali di fine anno, non c’è stato il tempo’. (Repubblica, p. 12). Il Corriere ci apre giustamente la prima pagina: “Una sanatoria per multe e tasse. E sanzioni ridotte per il rientro volontario dei capitali”. E racconta che “mancano ancora 117 decreti attuativi della Legge di Stabilità” dei governi Monti e Letta (p. 3).
Entusiasmante il titolone in prima pagina della Stampa di Kaki Elkann e dello svizzero Marpionne: “Capitali all’estero, ecco il decreto”. Ma telefonare direttamente ai commercialisti no?
Lettura imperdibile, l’editoriale di Galli delle Logge sul Corriere delle banche di oggi. Il titolo “Qual è il vero potere forte” promette già bene. Alla riga 45 arriva il primo identikit: “il blocco burocratico-corporativo”. Uhm, roba seria. Alla riga 51 ecco il primo potere forte: “taxi”. Tra le righe 52 e 55, il Delle Logge prende coraggio e decolla: “autostrade, ordini professionali, grandi imprese appaltatrici, telecomunicazioni, energia”.
A parte i gabellieri del casello, riesce a centrare tutti settori soffocati proprio dal suddetto “blocco burocratico-corporativo”. All’inizio della seconda colonna arrivano “i vertici di gran parte delle fondazioni bancarie” e qui sarebbe interessante sapere chi sono i buoni e chi sono i cattivi. E poi niente. Neppure nelle altre tre colonne che don Flebuccio de Bortoli gli mette a disposizione a pagina 44 compaiono le parole “banche” e “assicurazioni”.
Ma se uno non può scrivere dei poteri forti, ma perché si mette a scrivere dei poteri forti e comincia con i tassisti? Un bell’editoriale sulle preferenze non era meglio?
La disputa sugli extracosti da mezzo miliardo di euro per l’ampliamento del canale di Panama arriva forse a una svolta. Anche senza Valterino Lavitola a mettersi di mezzo con il suo amico presidente Martinelli. “Panama, Impregili e Sacyr alzano l’offerta a 400 milioni. L’autorità del canale pagherebbe gli altri 100 senza chiedere la restituzione dei 750 milioni già versati. La banca europea degli investimenti pronta a fare il prestito-ponte” (La Stampa, p. 24). (Dagospia)