ROMA (WSI) – Il piano, o almeno alcune sue parti, era già trapelato giorni fa, quando la situazione era assai più tranquilla e Matteo Renzi ancora giurava di non voler prendere la poltrona di Enrico Letta. E quel piano, dopo i colloqui col Quirinale e quasi agli sgoccioli dello scontro finale tra Letta e il segretario del Pd, è tornato di nuovo in auge. Anzi, nelle stanze di Palazzo Chigi lo si riferisce come l’esito più probabile dell’attuale caos. Sempre che sia Renzi a spuntarla, naturalmente.
Lo scenario sarebbe questo, e spiega l’improvvisa conversione di Renzi da #enricostaitranquillo a #enricodammiilposto. L’operazione di palazzo della staffetta, per valere la pena agli occhi del sindaco di Firenze, ha bisogno di un’assicurazione sulla vita del governo. E l’assicurazione sarebbe rappresentata dalla chiusura dello stato eccezionale sul quale è nata questa legislatura: condizione perché essa duri, come ha detto Renzi, “il restante 81 per cento di carica”.
Il governo Renzi non rappresenterebbe però la fine delle larghe intese. Anzi: quelle continuerebbero, con una maggioranza che – nei conversari di Palazzo – si immagina composta da Pd, Nuovo Centrodestra (ormai è chiara la cortese inversione di marcia di Angelino Alfano), Scelta Civica, Lega, un pezzetto di Cinque stelle e forse una parte di Sel. Una compagine frastagliata, ma comunque meno risicata di quella attuale.
Ciò che farebbe da catenaccio al nuovo assetto, rendendolo portatore di una novità tale da consentirgli di reggere fino al 2018, sarebbe invece il cambio della guardia al Quirinale. Al posto del Napolitano bis, così spiegano, al Colle potrebbe salire Romano Prodi. Un nome che consentirebbe a Renzi di chiudere la ferita della mancata elezione del Professore, ad aprile, ad opera dei centouno franchi tiratori democratici; e che, di fatto, sbloccherebbe il tappo oggi rappresentato da una situazione pensata per l’emergenza, e che non può farsi permanente. Il ritorno alla “normalità”, avverrebbe dunque a tappe. E con il consenso del Quirinale.
Scansando i rischi connessi a un voto anticipato che, allo stato, potrebbe avvenire con il proporzionale stabilito dalla Consulta (rischio paralisi post voto), o con un Italicum che, cosi come è, risulta indigeribile ai piccoli partiti e ancora troppo rischioso per il Pd renziano (che la coalizione guidata dal Cavaliere non superi lo sbarramento del 37 per cento è tutto da dimostrare).
Al contrario, far durare di più la legislatura, oltre che consentire l’avvio delle sospirate riforme, avrebbe come risultato (non spregevole per la sinistra) anche quello di escludere Silvio Berlusconi dal gioco: “Molto più di quanto possa farlo un anno di affidamento ai servizi sociali”, spiegano a Palazzo. Obiettivo che risulterebbe goloso anche per il Ncd di Alfano.
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