SOCHI (WSI) – Non c’è oro olimpico nel pattinaggio femminile senza dramma. E’ una regola dei Giochi e non importa se la trama dietro il podio racconta di invidie, duelli, sfide all’ultima lama, pettegolezzi o scandali, come ha detto ieri sera Katarina Witt, che di ori ne ha vinti ben due: «Ogni edizione ti prosciuga».
Dalla gara di Sochi l’Italia esce con uno spettacolare bronzo, Carolina Kostner si è superata, ha realizzato il personale, ha ricevuto consensi e anche se ad analizzare ogni singolo voto al microscopio si trova qualche perplessità non c’è molto da discutere. L’azzurra è piaciuta, ha ottenuto 216.73, una cifra che ovviamente la soddisfa e la esalta. Lei si gode la medaglia che ha inseguito per una vita e le altre due continuano la sfida. Fuori pista.
Gli appassionati si dividono, il momento della verità è stato ad alto voltaggio. Silenzio, tripudio russo e tante facce perplesse. Yu Na è una campionessa assoluta e si è ben guardata dall’alimentare la polemica “quel che posso o non posso dire non cambia il risultato”, ma non ci voleva proprio tanto a capire che su quel podio non era il ritratto della felicità.
Il giro d’onore lasciato a metà parla da solo. La coreana ha uno stile inconfondibile, ha vinto a Vancouver, nel 2010, con il record del mondo di punti. Piace perché è sempre pulita, per quel suo rigore che ormai è diventato una forma di espressione. Non ha sbagliato nulla.
Adelina Sotnikova è la prima russa a vincere nel pattinaggio femminile ai Giochi, solo la quarta che riesce a ottenere il successo olimpico in casa, a 17 anni e 234 giorni batte anche Plushenko (che ne aveva 19 all’argento del 2002) nel record di precocità tra i medagliati russi. Tanti. Non ha sbagliato niente. La differenza sta in 5.48 punti, in sfumature, impressioni e scelte che si possono dibattere all’infinito senza trovare una quadra.
A scavare nella composizione della giuria si perde solo la strada.
Troppo facile non fidarsi dell’ucraino Yuri Balkov pescato a mercanteggiare a Nagano nel 1998, punito con un anno di squalifica e poi riabilitato. E’ come per i campioni dopati che rientrano dopo la sospensione: le regole sono quelle e sono chiare a tutti.
Il technical controller è di casa ed è Alexander Lakernik, sì in passato presidente della federpattini russa, ma anche uno dei più stimati giudici tanto che fu nominato a capo dell’unità di crisi dopo la truffa del 2002 a Salt Lake City. No, lasciamo perdere. Qui non si parla di furto, ma di una giuria che forse si è fatta trascinare dal fattore campo.
Restiamo ai fatti che non portano purtroppo molto lontano nella querelle ma definiscono i confini del sospetto.
Un perimetro più limitato del previsto. Usare la parola scandalo è eccessivo. Sotnikova ha infilato sette tripli nel programma (come Carolina), uno in più di Yu Na e l’ha battuta di fatto su una precisa combinazione: triplo lutz-triplo toeloop, un’abbinata complicata che la russa ha osato mettere nella seconda parte del libero, quando di solito le altre alleggeriscono e le energie calano.
Lo sforzo è stato abbondantemente ripagato ed è proprio l’abbondanza il nodo della contesa. In un altro posto il punteggio non sarebbe stato lo stresso e su questo concorda la maggioranza, è un dato lampante.
Ma il ragionamento non porta alla certezza di uno sbaglio. Yu Na Kim meritava l’oro più di Sotnikova? Per il complesso delle due serate sembra ancora di sì ma nessuna matematica potrà mai certificarlo e ognuno si terrà il suo parere. Di certo Sotnikova è stata grandiosa e ha tutto il diritto di godersi il trionfo. Se ti regalano un rigore lo prendi.
Se poi alla decima moviola ancora esiste la possibilità che il fallo ci fosse è ancora più facile. Il punto è il confronto, la coreana è di un altro pianeta, resta di un altro mondo, di una classe superiore a quella che in questo momento la russa può esprimere e chiude la carriera qui con una gara perfetta e un risultato ambiguo.
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