NEW YORK (WSI) – I sondaggi preelettorali danno i partiti e i movimenti anti-europei in crescita in tutta la Ue. Le previsioni assegnano loro tra il 20 e il 30 per cento dei voti. Ma calcoli più precisi sono resi praticamente impossibili dalla difficoltà di definire quali siano in effetti i partiti anti-europei. Su alcune formazioni politiche generalmente di estrema destra, come il Front National in Francia, lo UK Independence Party in Gran Bretagna, il Vlaams Belang in Belgio, il PVV di Geert Wilders in Olanda o la Lega Nord in Italia, non ci sono dubbi. Ma altri partiti sfuggono ad una definizione più precisa. Come classificare la destra fiamminga NVA di Bart de Wever in Belgio, o il Movimento 5 Stelle di Grillo in Italia, e le liste di Tsipras che mobilitano l’estrema sinistra in tutto il continente?
Le ultime proiezioni di VoteWatch per le prossime elezioni Ue danno in leggero vantaggio come primo partito europeo i socialisti e democratici del PSE, guidati da Martin Shulz, che dovrebbero superare di poco (209 seggi contro 202) il Partito popolare europeo, che ha indicato come capolista il lussemburghese Jean-Claude Juncker.
Secondo queste proiezioni, i partiti euroscettici di destra che oggi si riconoscono nel gruppo EFD (Europe of Freedom and Democracy), dovrebbero restare sostanzialmente stabili confermando 31 eurodeputati. Ma questo dato inganna. Infatti il numero di deputati non immediatamente riconducibili ad un gruppo politico già esistente (i cosiddetti ‘Non Iscritti’), balza secondo i sondaggi da 32 a 92 deputati. Questo esercito di neoeletti, in cui sono inseriti anche gli italiani del M5S, di fatto sarebbe il terzo gruppo politico del Parlamento europeo e si può considerare che sarà composto in larghissima parte da anti-europei.
Infine, sempre secondo VoteWatch, il gruppo politico dell’estrema sinistra a cui aderisce anche Tsipras (che però ha lasciato libertà di scelta agli eletti nella sua lista), dovrebbe quasi raddoppiare i propri consensi passando 35 a 67 deputati e diventerebbe il terzo partito scavalcando i liberali. Infine ci sono da considerare i 45 eletti nelle liste ECR (European Conservatives and Reformists) che sono guidati dai conservatori britannici, usciti dal Ppe proprio su posizioni anti-europee.
Se dunque si mettono insieme i 31 eurodeputati di estrema destra, i 45 ECR, i 92 non iscritti e i 67 dell’estrema sinistra si arriva ad un totale di 235 deputati che, spesso con argomentazioni contrapposte, sono comunque contrari alla moneta unica e all’Europa come viene definita dalle attuali istituzioni e trattati.
Messi tutti insieme (cosa fortunatamente impossibile) sono circa di un terzo dei 751 parlamentari europei e costituirebbero il gruppo politico più numeroso. Una prospettiva che rende assai probabile la creazione in Parlamento di una grande coalizione tra socialisti e popolari, magari con l’apporto dei liberali, per garantire una maggioranza democratica pro-europea.
Ma non basta. Infatti in alcuni Paesi, tra cui l’Italia, il voto anti europeo finirà per incanalarsi anche in direzione di partiti che pure aderiscono al Ppe. È il caso, come spiega bene Ilvo Diamanti in queste pagine, di Forza Italia che prenderà una percentuale di voti euroscettici pari a quella del M5S. Oppure è il caso del Fidesz (Unione civica), il partito di estrema destra ungherese del premier Orban, che pur professando un euroscetticismo molto spinto aderisce al Partito popolare europeo.
C’è dunque da temere che anche una ipotetica futura Grande Coalizione tra socialisti e popolari, che in teoria potrebbe contare su oltre 400 voti, possa trovarsi a fare i conti con defezioni importanti quando sarà costretta a misurarsi su questioni di principio che coinvolgono l’integrazione europea. Più che uno scontro tradizionale tra destra e sinistra, tra conservatori e progressisti, le prossime elezioni europee si preannunciano dunque come una battaglia tra filo-europei e anti europei. E sarà una battaglia all’ultimo sangue.
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