ROMA (WSI) – Dopo un paio d’ore di udienza e quasi 5 di camera di consiglio, la corte di Cassazione ha definitivamente confermato la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per 2 anni nei confronti di Silvio Berlusconi, condannato per frode fiscale nel processo Mediaset a 4 anni di reclusione, di cui 3 coperti da indulto.
In particolare, i giudici della Terza sezione Penale hanno dichiarato «irrilevanti» le questioni di incostituzionalità delle norme tributarie sollevate dalla difesa dell’ex premier e hanno «rigettato» nel resto il ricorso contro la sentenza emessa dalla corte d’Appello di Milano il 19 ottobre 2013, che aveva ridotto l’interdizione da 5 a 2 anni.
Le richieste di accusa e difesa
Nel primo pomeriggio, il sostituto procuratore generale della Cassazione, Aldo Policastro, aveva detto che la pena accessoria doveva essere confermata, anche perché «i giudici di Milano hanno esattamente indicato i criteri in base ai quali hanno determinato l’interdizione per l’estrema gravità dei fatti accertati, il dolo intenzionale e la realizzazione di un sistema duraturo di evasione fiscale».
Al contrario, la principale richiesta della difesa di Silvio Berlusconi, avanzata dagli avvocati Franco Coppi e Niccolò Ghedini, è stata quella di sospendere l’udienza Mediaset in Cassazione e inviare gli atti alla Corte europea di Strasburgo affinché valuti se siano cumulabili le sanzioni accessorie della legge Severino e dell’interdizione dai pubblici uffici inflitte all’ex premier.
Dopo la sentenza, Ghedini ha detto che «prendiamo atto con grande amarezza della decisione: come abbiamo detto nel corso dell’udienza, avremmo ritenuto quantomeno necessario un approfondimento a Strasburgo».
Questa mattina il collegio della III sezione aveva registrato la “defezione” di 2 consiglieri inizialmente designati a farne parte: il presidente di Magistratura Democratica, Luigi Marini, e il consigliere Amedeo Franco, che in passato si sono già occupati di procedimenti a carico del Cavaliere.
Che cosa succede adesso
Secondo Dario Stefàno, presidente della Giunta delle Elezioni e delle Immunità parlamentari del Senato, «l’ineleggibilità derivante dall’interdizione dai pubblici uffici non sostituisce l’incandidabilità, ma si aggiunge a essa»: la sentenza della Cassazione «ha confermato il ricalcolo effettuato dalla corte d’Appello di Milano il 19 ottobre scorso relativo alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici di Berlusconi. Ciò significa che nei prossimi 2 anni egli non godrà del diritto di elettorato attivo e passivo». Riguardo a quest’ultimo aspetto, ha aggiunto Stefàno, «va però sottolineato che prevale la misura dell’incandidabilità quale effetto della condanna alla pena detentiva, divenuta definitiva l’1 agosto 2013. Incandidabilità che non può essere comunque inferiore ai 6 anni ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 235 del 2012, la cosiddetta “legge Severino”». In sostanza, «per quanto è previsto dalle norme di legge vigenti, il quadro attuale prevede un duplice impedimento: la ineleggibilità per interdizione dai pubblici uffici e la incandidabilità per 6 anni a seguito di condanna detentiva superiore ai due anni per reati gravi».
Le prime reazioni
In una nota, Fabrizio Cicchitto del Nuovo Centrodestra ha espresso «piena solidarietà a Berlusconi: quanto deliberato dalla Cassazione è comunque conseguenza della precedente condanna e deriva da essa. Quanto alla richiesta di grazia, come alcuni di noi proposero, doveva essere richiesta dai familiari nell’agosto del 2013 ed essere seguita da una ben diversa linea politica. Adesso l’attuale richiesta è una del tutto legittima iniziativa politica propagandistica destinata ad avere conseguenze solo su quel piano».
Giancarlo Galan ha scelto un tweet per commentare la decisione della Cassazione: «#Cmd… come volevasi dimostrare… non esiste corte che escluderà Berlusconi dalla vita politica dell’Italia. Unica corte valida: cittadini».
Fra gli uomini più vicini al Cavaliere, Renato Brunetta, presidente dei deputati di Forza Italia, ha detto che «ancora una volta la giustizia italiana va in direzione opposta rispetto a quella europea: dieci giorni fa la corte europea dei Diritti dell’uomo condannava l’Italia perché applicava due sanzioni per lo stesso fatto; oggi la Cassazione raddoppia la pena per un fatto già sanzionato dalla “legge Severino”. La storia è piena di questi casi, ma ci sarà pure un giudice a Strasburgo…».