FRANCOFORTE (WSI) – Lo stress test che l’Autorità bancaria europea (Eba) sta mettendo a punto assieme alla Banca centrale europea (Bce) simulerà il più duro “worst case scenario” (scenario peggiore) che si sia mai visto in uno stress test. È quanto riporta l’agenzia Bloomberg, citando fonti dell’Unione europea.
Nello scenario avverso la forbice tra i tassi di crescita dell’Ue e quelli ipotizzati nello stress test sarà più ampia di quella utilizzata negli esercizi del 2010 e del 2011. Le previsioni di crescita contenute nello stress test saranno infatti inferiori del 2,2% nel 2014, del 3,4% nel 2015 e dell’1,4% nel 2016, rispetto a quelle che la Commissione europea renderà note a maggio. Le banche dovranno così probabilmente confrontarsi con una recessione di due anni, seguita da un anno di modesta ripresa.
L’Eba e la Bce alzeranno il velo sullo scenario dello stress test la prossima settimana. Per superare la prova, che simula gli effetti di una crisi economica sui bilanci bancari, l’indice patrimoniale Cet1 ratio dei 128 istituti coinvolti non dovrà scendere sotto il 5,5%.
L’obiettivo è evitare le critiche piovute sui precedenti stress test, accusati di essere stati troppo morbidi e non aver messo in luce le falle di istituti che hanno poi avuto bisogno di essere salvati.
Il test europeo dovrà inevitabilmente confrontarsi con quello appena svolto dalla Fed, che prevedeva uno scenario molto duro – con un calo del Pil fino al 4,75%, un crollo dei prezzi della case e un aumento del tasso di disoccupazione all’11,2% – e da cui sono scaturiti 501 miliardi di dollari di perdite aggregate per i 30 istituti testati.
Lo stress test, che partirà a maggio e i cui risultati verranno resi noti a ottobre, si affiancherà all’asset quality rewiew, l’esame degli attivi bancari che la Bce sta svolgendo in vista della partenza a novembre della vigilanza unica sulle banche dell’Eurozona.
In occasione della sua presentazione a febbraio, il vicepresidente della Bce, Vitor Constancio, aveva detto che l’obiettivo del test “è cancellare i dubbi sulle banche europee” che ne usciranno “completamente robuste e trasparenti a tutti gli investitori”. E aveva subordinato il giudizio sulla severità del test agli scenari di stress che a breve verranno resi noti.
La base su cui calcolare lo scenario avverso sarà offerta dalle previsioni della Commissione attese a maggio e che forniranno per la prima volta anche una stima dell’andamento dell’economia nel 2016. Quelle pubblicate in inverno prevedevano una crescita dell’Unione europea dell’1,5% nel 2014 e del 2% nel 2015.
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Con oltre 11 miliardi di aumenti di capitale la primavera del 2014 verrà ricordata dalle banche italiane come la più costosa degli ultimi 5 anni. Tirando le somme infatti è questo il conto della crisi presentato dalle principali banche italiane ai propri azionisti e al mercato, che nell’arco del quinquennio hanno sostenuto operazioni di rafforzamento per 40,6 miliardi di euro. Uno sforzo che però è necessario nel nome della ripresa ma soprattutto per far fronte al pressing di Bankitalia in vista dei durissimi stress-test d’autunno della Bce e mentre è in corso in tutte le principali banche europee l’asset quality review.
L’Eba e la Bce alzeranno il velo sullo scenario dello stress test la prossima settimana. Per superare la prova, l’indice patrimoniale Cet1 ratio degli istituti coinvolti non dovrà scendere sotto il 5,5%.E verrà simulato, questa volta, il più duro ‘worst case scenario’ (scenario negativo) che si sia mai visto in uno stress test. In soli sei mesi sono stati deliberati aumenti di capitale per un ammontare di 10,5 miliardi di euro, a cui però potrebbero aggiungersene altri come quello della Popolare dell’Emilia Romagna, portando il conto sopra la soglia record di 11,03 miliardi del 2011. Nel dettaglio, la prima operazione, già chiusa con successo, è quella del Banco Popolare che ha raccolto 1,5 miliardi di euro senza dover chiedere neanche un soldo alle banche del consorzio di garanzia.
La più imponente ricapitalizzazione, invece, è quella che dovrà sostenere il Montepaschi di Siena, che di recente ha alzato l’importo da 3 a 5 miliardi e chiederà il via libera degli azionisti a metà maggio in modo di finire sul mercato a giugno. Segue, in ordine di grandezza, la Popolare di Vicenza che ha deliberato un aumento da 1 miliardo, che potrebbe tornare utile anche per un’eventuale salvataggio di Banca Etruria.
Sotto la soglia del miliardo, invece, spuntano Carige – 800 milioni, richiesti al termine dell’ispezione di Bankitalia e approvati dal Cda guidato da Piero Montani -, Bpm e Veneto Banca (entrambe 500 milioni), Credito Valtellinese (400 milioni) e Popolare di Sondrio (350 milioni). A queste, come accennato, si potrebbe aggiungere la Bper che potrebbe varare un aumento da 700 milioni già nella prima settimana di maggio in occasione dell’approvazione della trimestrale.
Nel mondo delle non quotate, invece, ci sono la più piccola Popolare di Bari che lo scorso 6 marzo ha approvato un rafforzamento da 500 milioni e Banca Marche che dovrebbe lanciare un aumento di circa 300 milioni di euro. Tirando le somme, il risultato di metà 2014 fa il paio con quello del 2011: in quell’anno a batter cassa furono Intesa Sanpaolo (aumento da 5 miliardi), nuovamente il Monte dei Paschi (2,1 miliardi) e il Banco Popolare (1,98 miliardi), e Ubi Banca (1 miliardo). Nel 2012 invece fu la volta di UniCredit di Federico Ghizzoni che in un sol colpo aveva varato un maxi-aumento da 7,49 miliardi di euro, a soli tre anni dall’altra operazione da 2,99 miliardi (2009) targata Alessandro Profumo.