ROMA (WSI) – E dopo Eni, anche Finmeccanica boccia la proposta di inserimento nello statuto della clausola di onorabilità per i componenti del cda. Solo il 66,1% di voti a favore (32,37% contrari): una percentuale che non basta, visto che era necessario raggiungere il 75%. Schiaffo alla proposta del Ministero del Tesoro presieduto da Pier Carlo Padoan: ministero che, di fatto, è l’azionista pubblico di queste tre società.
Il “codice d’onore” – secondo cui anche in caso di rinvio a giudizio un amministratore dovrebbe decadere – non è reputato necessario dagli azionisti delle partecipate italiane.
Lo scorso 8 maggio il 39% degli azionisti di Eni ha rifiutato l’introduzione della clausola: anche in questo caso non è stata raggiunta la maggioranza necessaria dei 2/3. Per essere approvata, la proposta aveva bisogno del 66,67% del capitale presente (i due terzi), ma solo il 59,4% ha optato per il sì. In assemblea, tra i fondi esteri presenti, quello del fondo del governo norvegese (1,54%); Bank of New York Mellon (1,21%); Libyan Investment Authority (1,16%); gruppo Capital (1,38%); Fidelity (0,55%); BlackRock (0,48%); Caisse de Depots (0,46%).
“Avevo già detto che nessuna società al mondo ha una clausola di questo tipo. E siccome il mondo sono i nostri azionisti, questo è quello che succede. Si sono espressi”- aveva detto l’amministratore delegato uscente Paolo Scaroni.
Nuovo schiaffo al Tesoro da Finmeccanica. Il ministero, sia nel caso di Eni che di Finmeccanica, è di fatto finito in minoranza, battuto dal no degli altri azionisti.
Nei prossimi giorni toccherà a Enel (22 maggio) e Terna (27 maggio). Nella prima gli investitori istituzionali pesano per il 42% del capitale complessivo, nella seconda sono circa il 49%.
Articolo 2380 bis comma 2 del codice civile: “Per la nomina di amministratore (di una società per azioni) sono richiesti requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza, tuttavia lo statuto può imporre anche altri requisiti, purché non limiti oltremodo la possibilità di scelta dei soci. Le cause di ineleggibilità sono quelle previste dall’articolo 2382 del codice civile ovvero interdizione, inabilitazione, dichiarazione di fallimento”.
Qualche mese fa, Il Tesoro invia a Eni, Enel, Finmeccanica una lettera, chiedendo di “introdurre nello statuto sociale un’apposita clausola in materia di requisiti di onorabilità”. Obiettivo: evitare che nei consigli di amministrazione delle partecipate siano presenti amministratori che sono sotto processo o condannati anche se con sentenza non definitiva.
I requisiti sono contenuti nella direttiva del 24 giugno 2013, che afferma che costituisce causa di ineleggibilità “l’emissione del decreto che disponga il giudizio”, dunque il via a un processo, per diversi reati, come: delitti contro la pubblica amministrazione, reati tributari e fallimentari e i delitti previsti dalle norme sull’attività bancaria, assicurativa e finanziaria. Traffico di stupefacenti. Nei casi citati, oltre a ineleggibilità o decadenza per giusta causa, è escluso il diritto al risarcimento dei danni, “fatti salvi gli effetti della riabilitazione”.
La decadenza arriva inoltre caso l’amministratore sia sottoposto “ad una pena detentiva”, ad una “misura di custodia cautelare o di arresti domiciliari”.
La direttiva del 24 giugno 2013 dell’allora ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni rischia di rimanere sulla carta. Il ministro aveva accolto la mozione Tommaselli, che era stata approvata dopo lo scandalo di Finmeccanica.