ROMA (WSI) – L’approccio di Mario Monti alle elezioni di domenica e la sua lettura delle faccende italiane sono sempre meno di partito, si direbbe da questa intervista: più da analista.
Senatore Monti, è tornata una certa tensione sui titoli dello Stato. Come la legge?
«Nel continente, la Ue e l’eurozona sono sotto attacco e sotto critica, nel dibattito politico. Tra il 2011 e il 2012, l’attacco alla costruzione europea veniva da immense quantità di denaro, ora dalle parole. È evidente che era più forte allora. Però la situazione attuale è la spia di difficoltà che potrebbero sorgere in futuro, capaci di attivare attacchi finanziari. C’è da domandarsi se, in quel caso, la ferrea difesa dell’eurozona che ci fu nel 2012 avrebbe lo stesso sostegno politico. I movimenti sui tassi dei titoli pubblici, però, sono modesti: più una preoccupazione che una difficoltà».
Ma se alle elezioni queste critiche si affermassero al di là delle aspettative?
«Dopo le elezioni potrebbero esserci preoccupazioni significative. Gran Bretagna a parte, i movimenti più nazionalisti, più euroscettici e critici sono in due Paesi molto diversi tra loro, l’Italia e la Francia, che sono però stati entrambi considerati non abbastanza solidi nei giorni della crisi. Uno in modo palese nel 2011 e l’altro in modo meno eclatante. Se in questi due Paesi i risultati elettorali dovessero essere peggiori del previsto, dal punto di vista di chi apprezza la costruzione europea, le tensioni potrebbero accentuarsi. Questo mi fa dire che occorre migliorare la governance della Ue e andare avanti a rafforzare l’Eurozona».
Sembra difficile, però, che dopo le elezioni si possa andare verso «più Europa».
«Dipende da cosa si intende per più Europa. Se ci si riferisce ai passi fatti in passato, sull’onda dell’entusiasmo ma senza rafforzare l’architettura dell’Unione, allora sì, sarebbe difficile. Ma se pensiamo a come l’Europa ha funzionato in 60 anni, avanzando sempre in risposta a una crisi, allora la prospettiva cambia. Oggi abbiamo due crisi nella Ue: una interna, verso i cittadini e una esterna nei confronti della Russia. Credo che siano possibili reazioni positive a questi impulsi».
Che effetti di lungo periodo possono avere i movimenti anti Ue?
«Nel caso italiano, i populismi antieuropei — dalla Lega a Grillo, da Forza Italia a Fratelli d’Italia — certamente indeboliscono il peso del Paese tra le Nazioni guida della Ue. E paradossalmente potrebbero produrre effetti controproducenti per alcuni di essi. Il Movimento 5 Stelle si scaglia soprattutto contro i politici e il vecchio modo di fare politica. Ma in Italia negli ultimi decenni un fattore che ha reso più seria la politica è stato il quadro europeo di regole. Se i politici italiani hanno dovuto limitare almeno un po’ le loro scorrerie nel parastato, porre fine alla spoliazione delle generazioni future attraverso il debito pubblico e rinunciare al depauperamento del risparmio, è perché negli anni Novanta sono arrivate le regole del mercato unico e la disciplina di bilancio legata all’euro. Grillo rischia di fare un regalo alla casta».
L’Italia sarebbe in grado di rispondere a un attacco dei mercati, oggi?
«Non dimentichiamo che l’Italia è passata dalla posizione marginale di rischiare di fare crollare l’Eurozona a una posizione molto diversa: ha saputo reagire e uscire dalla crisi senza ricorrere a un salvataggio esterno. E oggi è fuori da una procedura d’infrazione europea. Questo spesso sfugge, ma con l’azione del primo governo della crisi e con il consolidamento effettuato dai due successivi ha riguadagnato rispetto nella Ue, in America, in Asia. Sì, l’Italia sarebbe in grado di sostenere una turbolenza eventuale: è in una situazione di finanza pubblica migliore rispetto agli squilibri dell’autunno 2011 e l’Europa ha più munizioni per rispondere».
Quali munizioni?
«Non mi riferisco tanto ai cosiddetti firewalls (il denaro da gettare sul mercato per difendere un Paese, ndr ) quanto al fatto che al Consiglio europeo del giugno 2012 è prevalsa la posizione dell’Italia di integrare l’iniziativa dei governi con interventi diretti di altre istituzioni, presi in autonomia. Quello fu di fatto il via libera politico alla Bce per lanciare il programma Omt (di acquisto di titoli di Paesi in difficoltà, ndr ) che non c’è mai stato bisogno di utilizzare ma è ancora in essere».
Sulla base dell’esperienza nel fuoco della battaglia, cosa consiglia alle autorità italiane?
«Consiglierei di stare in zona di sicurezza, a distanza da quei Paesi che hanno fatto passi indietro nel controllo della finanza pubblica. Ma mi pare che le autorità italiane, prese nel loro complesso, stiano procedendo adeguatamente. Nel caso di un risultato elettorale preoccupante, come temo ci possa essere, mi auguro che non si mettano in rincorsa. Occorre stare nella carreggiata».
Sul versante riforme, però, svanita la pressione dei mercati, non si fa molto.
«In parte è vero. Ma il dibattito sulle riforme negli ultimi tempi è stato notevole. Forse abbiamo avuto un affollamento che ha caricato molto la barca delle riforme e l’ha posizionata per impressionare gli elettori prima del 25 maggio. Ora si dovrà dare più ordine e sistematicità, anche in Parlamento, e concentrarsi su riforme, innanzitutto quella del lavoro, finalizzate alla crescita e meno su quelle che hanno teso a dare un maggiore potere di acquisto alle famiglie, anche con il nobile obiettivo di aumentare la domanda ma con una certa attenzione alle elezioni».
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