ROMA (WSI) – Dopo Eni e Finmeccanica, anche Terna boccia i requisiti di onorabilità degli amministratori. I voti favorevoli sono stati il 60%, ma il quorum era fissato ai due terzi del capitale presente. In questo caso a proporre la modifica allo statuto è stata Cdp, socio forte con il 29% del capitale.
La proposta dei requisiti è stata accolta finora solo da Enel. Nel caso di Finmeccanica, la proposta di inserire nello statuto la clausola di onorabilità per i componenti del cda era stata accolta dal 66,1% di voti (32,37% contrari): una percentuale che non bastava, visto che era necessario raggiungere il 75%.
Lo scorso 8 maggio il 39% degli azionisti di Eni aveva rifiutato l’introduzione della clausola: anche in questo caso non era stata raggiunta la maggioranza necessaria dei 2/3. Per essere approvata, la proposta aveva bisogno del 66,67% del capitale presente (i due terzi), ma solo il 59,4% ha optato per il sì.
Lo scorso 22 maggio, i soci di Enel hanno dato invece il via libera all’iniziativa, risparmiando il Tesoro dalla terza sconfitta consecutiva. Terza sconfitta che arriva però oggi con il no di Terna.
Nel caso di Enel, ha votato a favore oltre l’80 per cento del capitale presente, anche se i fondi internazionali si sono spaccati e solo una minoranza ha appoggiato la richiesta del governo.
Articolo 2380 bis comma 2 del codice civile: “Per la nomina di amministratore (di una società per azioni) sono richiesti requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza, tuttavia lo statuto può imporre anche altri requisiti, purché non limiti oltremodo la possibilità di scelta dei soci. Le cause di ineleggibilità sono quelle previste dall’articolo 2382 del codice civile ovvero interdizione, inabilitazione, dichiarazione di fallimento”.
Qualche mese fa, Il Tesoro invia a Eni, Enel, Finmeccanica una lettera, chiedendo di “introdurre nello statuto sociale un’apposita clausola in materia di requisiti di onorabilità”. Obiettivo: evitare che nei consigli di amministrazione delle partecipate siano presenti amministratori che sono sotto processo o condannati anche se con sentenza non definitiva.
I requisiti sono contenuti nella direttiva del 24 giugno 2013, che afferma che costituisce causa di ineleggibilità “l’emissione del decreto che disponga il giudizio”, dunque il via a un processo, per diversi reati, come: delitti contro la pubblica amministrazione, reati tributari e fallimentari e i delitti previsti dalle norme sull’attività bancaria, assicurativa e finanziaria. Traffico di stupefacenti. Nei casi citati, oltre a ineleggibilità o decadenza per giusta causa, è escluso il diritto al risarcimento dei danni, “fatti salvi gli effetti della riabilitazione”.
La decadenza arriva inoltre caso l’amministratore sia sottoposto “ad una pena detentiva”, ad una “misura di custodia cautelare o di arresti domiciliari”.
La direttiva del 24 giugno 2013 dell’allora ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni rischia di rimanere sulla carta. Il ministro aveva accolto la mozione Tommaselli, che era stata approvata dopo lo scandalo di Finmeccanica.