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Ma il mondo si è davvero ripreso dalla crisi “Lehman”? Dubbi i ritmi di crescita

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ROMA (WSI) – Non solo l’Italia, anche gli Stati Uniti hanno avuto un primo trimestre negativo. Troppo gelo, troppa neve, dunque si è lavorato un po’ meno, dicono oltre Atlantico per spiegare l’inatteso calo del prodotto lordo.

Da noi, dove l’inverno è stato mite, si era ipotizzato l’opposto: il Pil del primo trimestre è diminuito causa le minori spese per riscaldarsi. Per quanto possa apparire bizzarro, le due spiegazioni non si escludono a vicenda. Nel più freddo Nord Europa, dove d’inverno si sta poco all’aperto, alle temperature meno basse della media si è attribuito infatti un effetto positivo. Comunque sia, è marginale. Si tratta di fattori transitori, destinati ad essere presto riassorbiti.

Più importante è che altri indicatori dell’economia americana continuino a dare segnali positivi: soprattutto i posti di lavoro in aumento. Per il secondo trimestre si profila un rimbalzo verso l’alto. Non c’è dunque, nei due segni negativi, un male comune di cui gli italiani possano consolarsi. Ma la battuta d’arresto negli Usa resta significativa anche se temporanea.

Non doveva essere questo 2014 un anno di forte rilancio? All’inizio, ci avevano detto così. Invece, l’attesa si allunga. In nessuna parte del pianeta si manifesta un impulso trascinante. Martedì l’Ocse aveva informato che nel primo trimestre, inaspettatamente, il commercio tra i maggiori paesi si è ridotto del 2,7%.

Per mesi gli esperti hanno dibattuto se in Cina si profilasse un rallentamento marcato. Dagli ultimi dati pare sia solo lieve, verso un tasso di crescita annuale del 7%: parecchio alto nel confronto, eppure lì sufficiente a causare qualche sofferenza. L’India, attorno al 5%, ha voluto cambiare governo proprio perché temeva una frenata. Dopo le recessioni è normale riprendersi.

Però i Paesi avanzati sono ancora lontanissimi dal ritrovare il ritmo precedente alla grande crisi cominciata nel 2007. E se negli Stati Uniti il numero dei disoccupati registrati continua a calare, occorre ricordare che molte persone un lavoro non lo cercano più: il rapporto tra occupati e popolazione è sceso di almeno tre punti.

In Europa vanno meglio degli altri Germania e Gran Bretagna. Ma la ripresa britannica è distorta, finanza e immobiliare di Londra; il contrasto tra una capitale che torna ad arricchirsi e il resto del Paese che stenta è tra i motivi del successo elettorale, concentrato in provincia appunto, dell’Ukip di Nigel Farage.

La Germania spera di arrivare a una crescita vicina al 2% nella media 2014; tuttavia gli ultimi dati segnano una pausa, 24.000 disoccupati in più a maggio, meno fiducia nelle imprese. In ogni caso, quali limiti ha un successo non condiviso dal resto del continente?

Forse va a scapito perfino di Paesi limitrofi come l’Olanda e la Danimarca. Non si riescono a impiegare al meglio le risorse. Le imprese americane e tedesche hanno molti soldi in cassa, ma non li investono; mentre quelle francesi o italiane sono a corto di capitali. La Cina accumula tesori immensi di cui i potenti di quel Paese sono ancora incapaci di fare uso produttivo.

Per invogliare a investire, le banche centrali dei Paesi avanzati non possono che mantenere bassi i tassi di interesse; e probabilmente la Bce li farà scendere ancora giovedì. Ma non è un rimedio garantito: può anche gonfiare bolle speculative, provocare nuove instabilità. Avrebbe senso che l’investimento pubblico, in infrastrutture necessarie, faccia da volano. Ma la maggior parte degli Stati sono già troppo indebitati per provarci; mentre in quelli che potrebbero non c’è una maggioranza politica a favore.

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