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Azioni e bond: uno dei due mercati sta mentendo

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MILANO (WSI) – Da ormai più di tre lustri si assiste sui mercati al cosiddetto “paradosso di Gibson”, dal nome non dell’attore australiano ma dell’economista britannico, che rilevò una correlazione positiva fra rendimenti obbligazionari e quotazioni azionarie.

Il fenomeno è in essere dalla fine degli anni Novanta: quando le tendenze disinflazionistiche in atto dall’avvento di Volcker alla Federal Reserve lasciarono posto a minacciose pressioni deflazionistiche, esasperate dalla crisi delle economie emergenti e da conseguente surplus di offerta globale sulla domanda aggregata.

Fino ad allora un miglioramento del mercato azionario trovava eco in un pari rialzo delle quotazioni obbligazionarie (rendimenti in calo).

Dal 1998, rendimenti e quotazioni azionarie vanno a braccetto; ossia, quando sale la borsa, scendono i titoli di Stato, e viceversa.

Sorvoliamo sulle motivazioni macroeconomiche di questo fenomeno, per soffermarci su una tendenza in essere ormai da alcuni mesi: il mercato azionario americano continua a migliorarsi, mentre i rendimenti dei Treasury USA puntano verso il basso. Il primo riflette un’economia tutto sommato in buona forma, i secondi denunciano la persistenza di pressioni deflazionistiche.

Chi dei due mente? Chi è nel giusto?

Dall’inizio dell’anno lo S&P vanta un saldo positivo, seppur poco più che simbolico: +3.3% rispetto alla chiusura del 2013. I rendimenti del Treasury decennale non solo non sono saliti, ma risultano vistosamente calati passando dal 3.03 al 2.44%. Una contrazione di 60 punti base (del 20%, in termini relativi).

In termini formali, casi di saldo positivo da parte dello S&P nell’arco di 100 sedute – quante ci separano dall’inizio dell’anno – e al contempo di contrazione di almeno il 15% dei rendimenti del T-Note, si contano sulle dita di una mano dal 1998 in poi; risultano invece più frequenti dall’inizio degli anni Ottanta alla prima metà degli anni Novanta. Dovremmo forse concludere che le pressioni disinflazionistiche (o del tutto deflazionistiche) sono prossime ad esaurimento?

Si tratta di un tema suggestivo, e molto interessante, da approfondire nelle sedi opportune. Qui l’interrogativo da porsi, è se ciò possa preludere a un’inversione delle attuali tendenze. Per ora ci soffermiamo sul mercato obbligazionario. Dal 1998 in poi il setup in questione – rialzo di almeno il 3% del mercato azionario in 100 sedute, a fronte di un calo di almeno il 15% nel medesimo arco di tempo da parte del T-Note decennale – è stato registrato altre 7 volte. La figura in basso mostra l’evoluzione successiva dei rendimenti, fatti pari a 100 il “giorno 0” in cui si manifesta il setup in questione, limitatamente ai tre mesi successivi.

Il setup non manifesta immediatamente i suoi effetti ma si rileva come a distanza di due mesi circa il rialzo in media sia quantificabile nel 20%. Sarebbe a dire, che dall’attuale 2.45% si risalirebbe fin sotto il 3%.

Il campione è statisticamente poco ampio e dunque scarsamente rappresentativo, ma si rileva come in 6 casi su 7 i rendimenti siano risultati in rialzo dopo 65 sedute di borsa.

Sulla base di questo studio, verrebbe da sospettare che la retorica sulla deflazione sia tardiva e che i rendimenti di mercato stiano per prendere atto di una realtà non ancora evidente ai più. Staremo a vedere…

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