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La verità: fondi comuni a gestione attiva fanno peggio del mercato

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MILANO (WSI) – Chi segue questo sito da tempo sa perfettamente che la favola del bravo gestore il quale, grazie alle sue conoscenze, riesce a scegliere le migliori azioni per rendere di più della della media del mercato, è una storia ottima per vendere fondi comuni d’investimento, ma totalmente campata in aria.

La media dei fondi comuni d’investimento, anno dopo anno, fa peggio dei mercati di riferimento.

Questo non perché i gestori siano tutti un branco di incapaci. Tutt’altro.
In realtà, in finanza, si concentrano i migliori cervelli (anche perché è il settore dove si guadagna di più). Il fatto è che non possono fare diversamente. E’ una necessità matematica che la media di coloro che fa gestione attiva abbia rendimenti netti inferiori alla media del mercato.

Come abbiamo scritto altre volte il Premio Nobel W. Sharpe, scrisse un memorabile articolo nel quale avvalendosi delle quattro operazioni matematiche di base dimostrò che la media del mercato doveva per forza battere la media dei gestori attivi che investivano costantemente in quel mercato.

Per comprendere il punto ipotizziamo che il mercato sia composto da due categorie di investitori, quelli che fanno gestione passiva (acquistano una porzione dell’intero mercato senza mai cambiare) e quelli che fanno gestione attiva (quindi cambiano costantemente i titoli nei quali investire in base a presunte capacità di selezionare gli investimenti migliori).

Gli investitori che scelgono una politica di gestione passiva avranno un rendimento esattamente pari alla media del mercato. E’ matematico.

Ma se questo è vero, come è vero, anche l’altra categoria di investitori, nella media, avrà il rendimento medio del mercato (1) con la differenza che mentre tutti gli investitori passivi avrà ottenuto lo stesso risultato, gli investitori attivi avranno ottenuto una grande varietà di risultati che mediamente sarà la stessa degli investitori passivi.

A ben guardare, però, c’è un’altra differenza fondamentale. Per vendere e comprare titoli, gli investitori attivi subiscono molti costi (costi informativi, costi di transazione, commissioni varie, ecc.). Questo significa che, mediamente, il rendimento netto degli investitori attivi sarà peggiore di quello degli investitori passivi.

Questo ragionamento vale per lo stock-picking (cioè la presunta capacità di selezionare i migliori titoli del mercato) mentre non vale per il così detto market timing, cioè la presunta capacità di entrare quando i prezzi sono bassi ed uscire quando i prezzi sono alti.

Purtroppo, se è vero che i fondi comuni d’investimento (quelli che non devono investire in un determinato mercato e quindi hanno un limitatissimo margine per fare “market-timing”) mediamente devono fare peggio dei loro mercati di riferimento è anche vero che, secondo tutte le analisi, questa non è la cosa peggiore.

La cosa peggiore è che gli investitori entrano ed escono da questi fondi nel momento sbagliato ottenendo, mediamente, un rendimento ben peggiore rispetto a quello conseguito dal fondo (già inferiore a quello di un fondo a gestione passiva).

Secondo gli ultimi dati di Morningstar (2) negli ultimi dieci anni, la differenza fra il rendimento conseguito dai fondi e quello effettivamente conseguito dagli investitori è stata di circa il 2,5% medio annuo. Perdere il 2,5% medio annuo per dieci anni è una cifra spaventosa! Significa avere un capitale più basso di circa un quarto. Sicuramente un danno maggiore di quello che può fare, in media, la gestione attiva rispetto a quella passiva.

I dati si riferiscono agli USA, ma sono consistenti con le ricerche fatte in altre nazioni.

Uno studio del 2010 della Cass Business School (3) ha mostrato che la differenza fra rendimenti percepiti dagli investitori e quelli del fondo è stata dell’1,2% per i nove anni terminati nel 2009. Altri studi (4) mostravano una differenza superiore al 2% sempre nel Regno Unito.

A cosa sono dovute queste grandi differenze di rendimento?

Semplice, al fatto che gli investitori scelgono costantemente i momenti peggiori per entrare e per uscire dai mercati. Quando le cose vanno male, si spaventano ed escono dagli investimenti più rischiosi per entrare in quelli meno rischiosi e viceversa.

Usare prodotti finanziari più efficienti è certamente una componente molto importante del processo d’investimento, ma purtroppo non è il più importante.
L’aspetto più importante è avere una buona pianificazione finanziaria, una buona strategia d’investimento e la disciplina per mantenerla nei momenti difficili.

Note:
(1) Ho notato che, stranamente, questa cosa non viene immediatamente percepita da tutti. Spesso le competenze matematiche, anche quelli abbastanza elementari come queste, non sono proprio spontanee. Allora proviamo a fare una semplificazione numerica.

In questa semplificazione i titoli nel mercato sono sempre gli stessi, gli operatori sono sempre gli stessi e sono sempre costantemente investiti nel mercato (non fanno cioè quello che viene chiamato “market timing”). Immaginiamo che all’inizio dell’anno il totale del mercato abbia un valore di 100 miliardi e alla fine di 110 miliardi. Ciò significa che il mercato ha reso, nel suo complesso, il 10% ovvero 10 miliardi. Adesso il 50% del mercato aveva una politica di gestione passiva. Questa ha guadagnato come il mercato, cioè il 10%, ovvero 5 miliardi. L’altra metà del mercato che ha fatto gestione attiva, al lordo dei costi, deve obbligatoriamente aver guadagnato gli altri 5 miliardi, ovvero il 10%.

(2) Morningstar è una società usa specializzata nell’analisi dei fondi comuni d’investimento. Negli USA pubblica uno studio denominato “Morningstar Investor Returns”. Una sintesi dello studio si può leggere qui: http://news.morningstar.com/articlenet/article.aspx?id=637022

(3) Clare & Motson (2010) Do UK retail investors buy at the top and sell at the bottom? (working paper) Centre for Asset Management Research, Cass Business School –

(4) Lukas Schneider (2007) “Are UK Fund Investors Achieving Fund Rates Of Return? An examination of the differences between UK fund returns and UK Investors’ returns.” PhD Thesis, July 2007.

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