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Federazione delle Banane: Figc elegge Tavecchio l’impresentabile

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ROMA (WSI) – Adesso che Carlo Tavecchio è diventato presidente della Federcalcio, penso che del “caso Tavecchio” si sia parlato troppo e soprattutto inutilmente. A cominciare da me, ovviamente, che sul candidato impresentabile ho scaricato tutte le parole che avevo a portata di mano e fino all’ultimo minuto possibile. Tranne rarissime eccezioni non ricordo nel calcio, e in particolare in queste particolari vicende, uno schieramento tanto unanime di bocche da fuoco, piccoli e grandi calibri. Ma non abbiamo scalfito nemmeno la corazza che ha protetto il nostro obbiettivo.

Inutile ripetere il perché o il per come o che cosa rappresenterà uno che dà del mangia banane – giusto dunque che anche lui si becchi molto tranquillamente il titolo di Banana Boss – ai ragazzi stranieri che arrivano in Italia. Sulla poltrona che conta di più c’è arrivato comunque. Del resto se ancor oggi il ministro degli interni parla con leggerezza di “vu cumprà” di cosa stiamo a parlare? Se Tavecchio adesso sta lì è perché una buona parte di noi, tutto sommato, lo considera accettabile. Un po’ come gli anni berlusconiani che ci sono stati inflitti a forza, magari a furia di distorsioni della democrazia, nonostante l’evidenza di una realtà meschina. Un sistema – checché si dica, anche questo democratico – consente oggi a Banana Boss di essere il numero 1 del calcio.

Social network, grandi e piccoli siti internet, TV, radio, giornali sono stati al centro di un movimento di indignazione pubblica che nonostante tutto ha fallito. Bisogna avere il coraggio e la coscienza di dirlo. Chi più chi meno non contiamo, collettivamente, un tubo. Forse non rappresentiamo nemmeno la società che pensiamo di rappresentare.

Calciatori, allenatori e arbitri – e cioè il calcio che va sul campo, che gioca – non lo volevano. E se lo vedono imposto. Uno smacco clamoroso, assurdo, imposto dall’alto. Al pari dei media hanno fallito tutti quelli che si sono opposti nel calcio all’incredibile e paradossale scalata di Tavecchio. Agnelli e Pallotta prima di tutti, vale a dire la Juve e la Roma: hanno dimostrato, a conti fatti, scarsissime capacità politiche e strategiche. Si sono dimostrati meno efficienti di Galliani e Lotito che adesso possono mettersi addirittura il fiore all’occhiello. Sono molto d’accordo con chi ha scritto (Giovanni Capuano su Calcinfaccia, ad esempio) che il documento di cui si sono fatti promotori ha permesso agli altri di andare a raccogliere gli incerti, compattarsi e fare una conta più precisa. Il loro errore da dilettanti non proporre un nome alternativo a Tavecchio (non c’era accordo), non convergere in blocco al limite sul rivale di Tavecchio (Albertini) ma andare un po’ random e un po’ ventilare un commissario al calcio che ha spaventato tutti. Forse anche il Coni che avrebbe dovuto mettercelo.

A parte i media il Coni ha recitato la parte più timida, goffa, inconsistente e perfino ridicola che si ricordi da anni a questa parte. All’imprensentabile Tavecchio corrisponde un’improbabile Malagò, che forse oggi ha scoperto che guidare il Coni è ben e più impegnativo di un circolo sportivo per quanto prestigioso. Ha miseramente fallito al primo vero problema che la sua presidenza si è trovata ad affrontare. Ha ventilato, al massimo, misteriose e improbabili sorprese, di cui nessuno ha capito nulla. E che soprattutto non si sono viste. E’ riuscito il presidente del Coni perfino a non far prendere posizione al presidente del Consiglio, Matteo Renzi che avrebbe potuto esporsi assai di più senza far rischiare nulla al calcio italiano e che ora – peggio per lui… – si ritrova con un presidente della Federcalcio che non gli piace. Come del resto a quasi tutta Italia.

Forse il lavoro vero – speriamo – quello che noi non siano stati capaci di fare, lo faranno la FIFA e l’UEFA, dettandoci la linea. Come avviene per altro già in Europa.

Il calcio, lo sappiamo, è lo specchio di un paese.

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