ROMA (WSI) – La squadra di Palazzo Chigi, quella che nelle intenzioni dello stesso Renzi dovrebbe aiutarlo a mettere a punto la manovra d’autunno, ancora non c’è. Nessuno dei candidati a comporlo è stato ancora contattato dal premier per discutere del da farsi. Eppure il tempo inizia a stringere: il primo ottobre, quando il Tesoro dovrà presentare le stime aggiornate del Documento di economia e finanza, la legge di Stabilità dovrà essere pronta nei suoi grandi numeri.
Il governo deve passare attraverso un imbuto stretto: trovare almeno dodici miliardi di nuovi tagli alla spesa, ai quali si aggiungeranno i tre già introdotti con il decreto sugli ottanta euro. Senza di essi per Renzi sarà impossibile garantire la conferma del bonus Irpef e il taglio dell’Irap. Queste due voci valgono da sole più di dieci miliardi, una cifra già di per sé enorme se – come promette il premier – l’unica strada per finanziarla saranno le diminuzioni di spesa. Sperare che nel frattempo l’Europa ci conceda un margine di flessibilità non è contemplato.
In ogni caso, con gli attuali numeri, l’Italia è già molto vicina al limite del 3 per cento nel rapporto deficit-Pil. E la manovra, che dovrebbe aggirarsi complessivamente attorno ai 20 miliardi, già prevede di essere finanziata con alcune voci meno certe come ad esempio le maggiori entrate da lotta all’evasione.
Ecco perché – così spiega una fonte governativa – l’unica certezza è che non ci sarà spazio per allargare il bonus a pensionati e lavoratori autonomi come Renzi avrebbe voluto: già il primo agosto il premier aveva chiarito di non «poter garantire» che ce l’avrebbe fatta e che ci stava «lavorando». Su 41 milioni di contribuenti, quasi la metà – 18 milioni – sono pensionati.
Stesso discorso vale per la richiesta di parte della maggioranza di allargare la no tax area di chi non lavora da 7.500 euro a 8.000, come è già previsto per i dipendenti. L’impegno – racconta chi sta studiando le carte al Tesoro – «è concentrato sul lavoro dipendente». Oltre che estremamente onerosa, qualunque altra soluzione snaturerebbe l’obiettivo: abbassare la pressione fiscale sul lavoro, troppo alta rispetto alla media europea. L’unico allargamento sarà a favore dei lavoratori dipendenti con più figli, ai quali il bonus potrebbe essere concesso secondo un meccanismo simile a quello del cosiddetto quoziente famiglia.
Ce la farà il governo a trovare le risorse in un mese? I grandi numeri sono quelli che il commissario alla spesa Cottarelli ha portato sul tavolo di Renzi in luglio: nel 2015 almeno 5 miliardi di risparmi con la centralizzazione degli acquisti della pubblica amministrazione, altri cinque da tagli di varia natura: da un taglio forte delle società partecipate dagli enti locali, dalla razionalizzazione dei costi di funzionamento delle sedi degli enti pubblici, dal taglio degli affitti inutili e dall’introduzione dei costi standard in sanità.
Per ora si smentisce l’ipotesi di un contributo di solidarietà sulle pensioni, mentre è sempre più probabile la revisione di alcune detrazioni fiscali che d’ora in poi verrebbero modulate sulla base del reddito. La possibilità di evitare misure che tocchino le tasche dei contribuenti è direttamente proporzionale alla capacità del governo di infilare il bisturi nella carne della spesa, soprattutto quella a favore di interessi consolidati.
La missione più difficile sarà disboscare i cosiddetti «incentivi alle imprese», in gran parte contributi concessi a fondo perduto a questa o quella azienda pubblica. Le sole Fs (ed esclusi gli investimenti in rotaie) assorbono cinque miliardi l’anno. Il governo si accontenterebbe di tagliarne due in un mare magnum di trenta miliardi.
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