ROMA (WSI)- “Non è vero” che l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori “riguarda 3mila persone”. Così il leader della Cgil, Susanna Camusso, ha replicato al premier Matteo Renzi in un’intervista all’Unità online. “Questo – ha detto il leader sindacale – è un modo di sminuire. Quell’articolo riguarda i diritti fondamentali dei cittadini e dei lavoratori, diritti che non possono essere soppressi”.
Il numero uno della Cgil non crede affatto che lo Statuto sia vecchio. “Per un motivo molto semplice – ha osservato – quel testo affronta il tema della democrazia, delle libertà individuali, dei diritti di cittadinanza. Tutti temi che non hanno a che fare con le politiche economiche, le dimensioni d’impresa, la competitività di sistema. Ne hanno invece molto con la cittadinanza e con la dignità del lavoro”.
“C’è forse chi vuole sostenere che è superato il principio di non discriminazione di un lavoratore per la sua razza, il suo credo religioso, il suo orientamento sessuale? Vogliamo dire che è più moderno controllare a distanza chi lavora, indagare su di lui, impedirgli l’attività sindacale o politica? Sotto questo atteggiamento c’è un’idea di comando e non di collaborazione. C’è l’idea che bisogna contrapporre i lavoratori tra loro”.
Camusso ha aggiunto che “chiunque dice che lo Statuto è superato deve dire con chiarezza perché, in cosa e come intende modificarlo. Il fatto che in molti luoghi di lavoro non sia applicato, è una ragione in più per rimodularlo in modo da dare tutele a coloro che oggi vivono in una vera e propria giungla lavorativa totalmente privo degli elementari diritti”.
Secondo il segretario generale della Cgil “è davvero uno strano dibattito”, quello sul modello tedesco. “Come si potrebbe coniugare questa idea di lavoro povero e precario con il Jobs Act? – ha proseguito – la verità è che in questa discussione non si capisce dove si vuole andare, cosa si vuole veramente fare”. Camusso ha sottolineato che “la prima contraddizione è che il Jobs Act, che nelle prossime settimane sarà in Parlamento, da quando è stato presentato ha mutato più volte faccia e obiettivo.
Quando poi si parla di modello tedesco, si lascia tutto nel vago e ci si chiede cosa si voglia veramente intendere. Di cosa si parla? Dei diritti di informazione e di codeterminazione? In quel modello i lavoratori hanno un potere fortissimo, sugli investimenti e sulle scelte aziendali. Si vuol dire che vanno introdotte ulteriori forme di precarietà, questa volta chiamandole mini jobs?
Se è così, se si tratta di prendere solo il pezzo che scarica sul lavoro la competizione e i costi, allora meglio lasciar perdere, è un modello che abbiamo già provato e ha fallito”.
Il leader sindacale ha aggiunto che “quando si discute di modelli in astratto senza specificare alcunché, si rischia solo di parlare per slogan. Un modo di fare e di agire che all’Italia non serve. Questo è un Paese che ha legiferato molto sulle regole del lavoro.
E’ arrivato il momento di cambiare schema e di cominciare a pensare come creare il lavoro, elaborare un piano serio di investimenti, superare la precarietà, dare stabilità e fiducia alle famiglie”. Il tema, ha inoltre affermato Camusso, è capire come si affrontano le situazioni di crisi industriali.
“Questa è la domanda da porci – ha concluso – quale modello di Paese vogliamo e come salviamo interi pezzi di manifattura. Per questo dico che bisogna cambiare schema e smetterla di partire sempre dagli stessi temi già affrontati mille volte in passato. Per di più senza successo”.