ROMA (WSI) – Il consenso per il capo del governo e per l’esecutivo rimane alto e tocca il 60 e il 54 %. Ma il calo per entrambi è sensibile.
Il Pd di Renzi non è più in grado di attrarre tutti i settori elettorali, è diventato soggetto di centrosinistra, più di centro che di sinistra. Gli orientamenti di voto ricalcano l’esito delle Europee. Tra le differenze, la ripresa di Forza Italia che risale sopra il 18%.
fine di un’estate attiva e combattiva, Matteo Renzi e il suo governo dispongono di un consenso ancora ampio e maggioritario. Il Pd resta il primo partito, con oltre il 41% dei voti. Conferma, quindi, il significativo risultato ottenuto alle elezioni europee. Tuttavia, il clima d’opinione a favore di Renzi e il suo governo risulta molto ridimensionato rispetto a giugno.
Perché sembra indebolita quella trasversalità emersa, in particolare, nel voto europeo. Si tratta delle prime indicazioni del sondaggio di Demos per l’Atlante Politico, presentato oggi su Repubblica. Il PD di Renzi, il PdR, cioè, oggi appare, in parte, “normalizzato”. Non è più in grado di attingere consensi da tutti i principali settori dello spazio elettorale, ma è divenuto un soggetto politico di centrosinistra, più di centro che di sinistra. Come il suo leader. Come il premier. Che, per questo, non piace più, come prima, a centrodestra, ma neppure agli elettori maggiormente spostati a sinistra. Né, a maggior ragione, agli elettori del M5s.
Chiariamo: la posizione del premier e del governo appare ancora solida. Il consenso per il governo, infatti, tocca il 54%. Mentre la fiducia nei confronti di Renzi è intorno al 60%. Tantissimo, non c’è dubbio.
Soprattutto in confronto agli altri leader, molto lontani, per grado di confidenza. E quasi tutti in declino. Segno di una certa stanchezza politica che pervade la società. La differenza, rispetto agli ultimi sei mesi, è che neppure Renzi e il suo governo “personale” riescono a sottrarsi a questa tendenza. Anzi. La fiducia nei loro confronti, infatti, subisce un calo di circa 15 punti rispetto a giugno. Le ragioni di questo sensibile calo sono diverse e prevedibili. Anzitutto, la crisi, che non riduce la pressione sul reddito personale e familiare. Poi, la delusione.
D’altra parte, c’è un’evidente distanza fra le attese dei cittadini e le priorità del governo. Che, fin qui, ha privilegiato le riforme istituzionali. La fine del bicameralismo perfetto (e del Senato), la legge elettorale. Ora: la giustizia. Che, tuttavia, come emerge dal sondaggio dell’Atlante Politico, non suscitano grande passione, fra gli elettori. Molto più interessati, invece, alle riforme che riguardano il mercato del lavoro, il rilancio dell’occupazione, l’adeguamento delle pensioni più basse, il sistema scolastico, il fisco. Naturalmente, Renzi ha scelto la via delle riforme istituzionali e del sistema elettorale per poter, comunque, rivendicare dei risultati, dopo pochi mesi di governo. Ma anche per creare le condizioni favorevoli per “governare”, in futuro. E per andare a elezioni, in tempi non troppo lontani, con regole che permettano la formazione, in Parlamento, di maggioranze stabili.
Il calo della popolarità del premier e del governo, però, sottolinea come l’apertura di credito degli elettori non sia infinita. Quindici punti di fiducia in meno, in tre mesi, non sono pochi. Anche se è cresciuta la quota di elettori che pensa che Renzi governerà fino in fondo. Il 43% degli intervistati,
infatti, ritiene che arriverà a fine legislatura.
Si tratta di 11 punti in più, rispetto allo scorso giugno. Mentre, al contrario, si è ridotta a poco più del 20% la componente degli scettici, i quali credono che resisterà meno di un anno. Parallelamente, resta maggioritaria – anche se in calo – la componente di chi ritiene che Renzi ci porterà fuori dalla crisi. Gli orientamenti di voto, peraltro, riflettono quelli emersi alle elezioni europee. Con alcune limitate – e significative – differenze. In particolare, la ripresa di FI, che risale oltre il 18%.
E il parallelo ridimensionamento di NCD e Udc. Come della popolarità di Alfano e Casini. Risucchiati nella spirale del PdR. Si allarga, invece, il peso della sinistra (SEL), in parte, probabilmente, per il sostegno delle componenti critiche del PD. Dunque, la maggioranza degli italiani pensa che Renzi e il governo arriveranno in fondo alla legislatura. Il partito di Renzi, inoltre, mantiene una larga maggioranza. Perché non sembra avere alternative, né un’opposizione effettiva. Anche il M5s non riesce ad andare oltre il 20%.
Eppure, come si è detto, la fiducia personale nel premier e nel governo ha subito una brusca discesa. La spiegazione “politica” di questo ridimensionamento è comprensibile osservando le tendenze del consenso nei diversi elettorati di partito. Lo scorso giugno, dopo le elezioni europee, il gradimento per Renzi e il governo risultava, infatti, trasversale. Solo fra gli elettori del M5s, infatti, era molto sotto alla maggioranza. Ora, invece, resta larghissimo nella base del PD – prossimo al 90% – e fra gli elettori centristi e del NCD. Ma crolla in tutti gli altri settori. Soprattutto a destra: nella base di FI e degli altri partiti di centrodestra. Oltre che del M5s (dal 36% a 20%).
Oggi, dunque, Renzi appare ed è un leader di centrosinistra, alla guida di un governo di centro-sinistra. E ciò significa che il PDR non può più prescindere dal PD. Il leader ha bisogno del partito, per governare e per imporsi, in caso di elezioni. Anche se il partito – il PD – ha bisogno di Renzi per affermarsi. Per non scivolare di nuovo al 25%.
Per questo i prossimi mesi appaiono importanti e critici. Per il governo e il suo premier. Per il Pd e per il suo leader. E, dopo sei mesi di corsa, Renzi deve fare più attenzione. Al partito, agli elettori, alle parole, ai risultati. Senza riassumere e sovrapporre governo e comunicazione.
Copyright © La Repubblica. All rights reserved