ROMA (SI) – Una storia di successo made in Italy quella dei fratelli Lerario e del loro brand Tagliatore, che inizia con Francesco, classe 1934, a Martina Franca e continua oggi nel mondo. A portare avanti l’azienda oggi sono i quattro fratelli, Pino, Teresa, Vito e Luciano. Una solida realtà familiare che cresce in tempo di crisi (con un aumento del fatturato dell’11 per cento nel 2013, obiettivo che si vuole replicare quest’anno).
Pino Lerario è direttore creativo del brand. Da quando era bambino vive in azienda. «Avevo 7 anni quando mio padre decise di mettersi in proprio , nel 1972, e da allora questa azienda è la mia casa. Avevamo 15 operai allora, oggi i dipendenti sono 180 e siamo orgogliosi di poter dare lavoro di questi tempi».
Un’azienda completamente made in Italy?
«Noi siamo made in Italy doc, produciamo tutto qui, non come altri che mettono solo l’etichetta. A dire il vero siamo made in Martina Franca. Andare all’estero non garantirebbe la qualità del prodotto. E chi ci compra conosce la nostra serietà e la cura dei dettagli. I giapponesi impazziscono per il made in Italy. È un mercato che ci ha dato grandissime soddisfazioni».
Da dove nasce il nome Tagliatore?
«Da mio nonno. Era il suo soprannome perché di mestiere tagliava le tomaie delle scarpe che poi mia nonna cuciva. Ma è anche il soprannome di mio padre. Un omaggio, un nome che ci appartiene».
Oggi è difficile continuare a fare un prodotto interamente made in Italy?
«Sì, ma noi insistiamo per rispetto dei nostri clienti. Certo oggi non è facile trovare maestranze specializzate».
Dove è possibile trovare oggi il marchio Tagliatore nel mondo?
«Le collezioni Tagliatore e la capsule collection Pino Lerario sono presenti in circa 800 punti vendita in tutto il mondo nella fascia alta. I nostri mercati di riferimento sono: Giappone, Germania, Austria, Svizzera, Francia e paesi Scandinavi, serviti attraverso gli showroom di vendita di Milano, Parigi, Monaco, Düsseldorf e Tokyo. Dallo scorso anno ci siamo affacciati al mercato canadese, coreano e mediorientale. Da qui a 3 anni il nostro obiettivo è raggiungere anche il mercato statunitense e quello russo».
E l’Italia?
«Il mercato più importante resta l’Italia che pesa per il 40 per cento sul nostro fatturato. Non sono tempi facili ma nonostante la crisi il nostro prodotto si vende».
Vede spiragli di crescita e di uscita dalla crisi per il nostro Paese?
«Sono del parere che l’Italia è messa male sicuramente per come è ed è stata gestita, ma soprattutto per un atteggiamento culturale. Ci sentiamo e vogliamo essere tutti furbi, senza rispetto per il prossimo. Se ci troviamo con tutte queste tasse è anche colpa nostra».
Chi è il cliente tipo per Tagliatore?
«Noi vestiamo le persone dai 25 ai 60 anni, anche perchè oggi i 60 anni sono un po’ come i 40 di ieri. I giovani si stanno avvicinando molto al sartoriale, chiedono le giacche non solo per andare a lavorare, ma le vogliono più moderne nel taglio, ma anche nei colori. L’uomo elegante non è mai leccato, deve avere personalità, distinguersi per qualche particolare».
A Pitti infatti avete portato una collezione tutta rossa.
«Ci sembrava il colore più giusto perchè fa parte della nostra cultura, del nostro vino e anche delle nostre ciliegie nella zona di Bari. Stiamo molto attenti ai tessuti, rendono l’uomo elegante ma anche dandy, si vuole uscire dal banale. I nostri clienti hanno voglia di indossare qualcosa che sia diverso da quello che indossano tutto il giorno».
Un’anticipazione dei colori per il prossimo Pitti, quello che definirà lo stile autunno-inverno 2015-2016?
«Ci saranno colori caldi e vivaci. Tanto blu, ma anche arancio».
Ci sarà un testimonial Tagliatore? Qualche personaggio che vedete come ambasciatore della vostro stile?
«Lo stiamo cercando. Se devo dirle un uomo elegante a cui mi ispiro allora il nome è quello di Vittorio De Sica. Certamente se ci sarà un testimonial sarà italiano, siamo molto più eleganti di qualsiasi attore americano».
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