ROMA (WSI) – La baldanza di Matteo Renzi si è scontrata con il Trattamento di fine rapporto, il buon vecchio TFR. L’opzione di anticiparlo subito in busta paga ha cozzato contro qualche difficoltà, ma soprattutto una.
Non è la questione fiscale, che ha scatenato critiche tanto accese quanto superficiali. Ora infatti, a parte i redditi minimi, il TFR gode di un’aliquota fiscale inferiore a quella che subirebbe, se aggiunto tout court al reddito dell’anno. Ma per evitare ciò, basterà un articolo di due righe nella promulganda legge o decreto legge.
Il governo potrà poi trovare soluzioni alternative, pienamente o abbastanza soddisfacenti, anche per le piccole-medie aziende, costrette ad anticipare il TFR e quindi a rinunciare a una forma di finanziamento così conveniente.
Il vero problema è un altro: l’anticipo del TFR entra in concorrenza con la previdenza integrativa. Se infatti viene concesso solo a chi lo ha in azienda o eventualmente rigirato all’Inps, la cosa verrà sentita come una grossa ingiustizia. Già uno è incastrato nei fondi pensione sino a 65 anni, e magari anche 70, e anche in tal caso verrebbe trattato peggio degli altri.
Il governo potrebbe quindi concedere l’incasso immediato del TFR, anche a quanti ne subiscono il trasferimento coatto nella previdenza integrativa. Ma ciò manderebbe in bestia quelle categorie cui essa frutta poltrone, prebende, provvigioni, consulenze, commesse ecc.
È vero infatti che negli ultimi anni i fondi pensione hanno reso più del TFR; e ci mancherebbe altro con l’impennata dei titoli a reddito fisso! Ma quest’ultima è conseguenza di un crollo irripetibile dei tassi d’interesse. Per cui presto si vedranno i comparti obbligazionari di fondi pensioni e simili rendere meno del TFR. Pesano poi i brutti ricordi di chi, per esempio nel 2008 o nel 2011, vedeva crollare il proprio fondo o pip e non poteva uscirne. Si aggiungono poi le esigenze personali di liquidità.
L’opzione per tutti del TFR in busta paga ridurrebbe dunque la torta che ora si spartiscono sindacalisti, funzionari di associazioni padronali, assicuratori, gestori, economisti legati al mondo finanziario-bancario ecc.
Non stupisce quindi che abbiano esternato le loro personali preoccupazioni soggetti quali Tiziano Treu, commissario dell’Inps, o Tito Boeri dell’università privata Bocconi.
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ROMA (WSI) – Riceviamo e pubblichiamo:
Gentile Direttore,
Il sito Wall Street Italia riprende un articolo in cui Beppe Scienza mi indica come “un soggetto” con “personali preoccupazioni” circa il progetto di trasferire il Tfr nella busta paga dei lavoratori perché sarei uno degli “economisti legati al mondo finanziario e bancario” che vedrebbe ridursi la propria fetta di torta (leggere l’articolo Tfr, quelli che hanno davvero paura sono i fondi).
L’insinuazione è falsa e diffamatoria. Non ho cariche (o incarichi) in alcun istituto bancario, di gestione del risparmio, fondo pensione, fondo d’investimento. Se sostengo che il l’idea del Tfr in busta paga sia profondamente sbagliata – come ho argomentato in vari interventi sulla stampa e sul web – è perché ne sono convinto in tutta libertà e indipendenza. E dunque il vostro commentatore che cerca di affibbiarmi meschini interessi di bottega solo perché non sono della sua opinione si qualifica da sé.
La invito pertanto a pubblicare questa precisazione per chi ha letto l’articolo e ad emendare l’articolo stesso nella parte che mi diffama.
Chi è Tito Boeri
Ph.D. in Economia alla New York University, per 10 anni è stato senior economist all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, poi consulente del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale, della Commissione Europea e dell’Ufficio Internazionale del Lavoro. Oggi è professore ordinario all’Università Bocconi, dove è anche prorettore alla Ricerca. E’ il fondatore e responsabile del sito economico lavoce.info, direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, responsabile scientifico del festival dell’economia di Trento e collabora con La Repubblica. I suoi saggi e articoli possono essere letti su www.igier.uni-bocconi.it.
Chi è Beppe Scienza
[ARTICLEIMAGE] Beppe Scienza (Torino, 12 febbraio 1950), laureato in matematica nel 1974, è dal 1976 uno studioso del risparmio e della previdenza integrativa (fondi comuni di investimento, gestioni patrimoniali, polizze vita, fondi pensione, ecc.). Dal 1984 collabora a diverse testate giornalistiche sui temi del risparmio, della previdenza privata nonché degli investimenti a reddito fisso, e per anni è stato anche consulente di società finanziarie, banche, compagnie d’assicurazione e fondazioni.
Beppe Scienza è un detrattore delle forme d’investimento del risparmio gestito che ritiene rendano regolarmente di meno delle tradizionali forme di risparmio quali i titoli di stato (BOT, BTP, CCT) o, rispettivamente, l’investimento azionario diretto.
Su tali argomenti ha scritto anche diversi libri, tra cui Il risparmio tradito e La pensione tradita. In questo ultimo libro critica aspramente le aspettative riguardo alle cosiddette “pensioni di scorta” e invita esplicitamente a mantenere il proprio trattamento di fine rapporto (TFR) in azienda, evitando di giocarselo alla roulette dei fondi pensione. La sua critica si rivolge però anche al giornalismo economico italiano (in particolare il quotidiano Il Sole 24 Ore e il settimanale Il Mondo), cui muove l’accusa di incompetenza, ma soprattutto di un atteggiamento ossequioso nei confronti del risparmio gestito e della previdenza integrativa.
Titolare del corso “Metodi e Modelli per la Pianificazione Finanziaria” presso l’ateneo di Torino.