MILANO (WSI) – Siamo nel mezzo del secondo semestre. Doveva essere, nei programmi, un periodo positivo per l’economia globale. Che cosa è andato storto?
I modelli econometrici non sono mai stati perfetti, ma non sono da accusare più di tanto. Non possono prevedere gli spiriti animali, ovvero l’umore di chi materialmente decide di investire e consumare oppure, al contrario, risparmiare. Non possono, soprattutto, anticipare i comportamenti politici che prendono spunto dalle previsioni e che vanno poi a retroagire sulla realtà.
Facciamo un esempio. In Europa, calcolando gli effetti delle politiche monetarie e fiscali, era prevista per quest’anno una graduale accelerazione. I tassi a zero e il modesto ammorbidimento di fatto della linea dell’austerità erano il presupposto necessario e, si pensava, sufficiente per allargare la forza dell’economia tedesca al resto dell’Eurozona.
Così è stato, al punto che tutti, anche gli scettici, si sono convinti che finalmente anche l’Europa avrebbe raggiunto la ripresa globale. Sulla base di queste previsioni che stavano diventando realtà, il governo tedesco si è sentito sufficientemente forte da sfidare la Russia sull’Ucraina. Alle sanzioni sono naturalmente seguite le controsanzioni, con danni reciproci evidenti. Alla fine la Russia è entrata in recessione e la Germania ha perso ogni slancio propulsivo.
I modelli econometrici non potevano nemmeno prevedere i successi elettorali di Alternative fur Deutschland, il partito euroscettico che fa da spina nel fianco del governo tedesco. Merkel, Schauble e Weidmann hanno reagito indurendo la loro retorica sull’austerità. Questo fa sembrare Draghi isolato. Così in realtà non è, ma l’apparente divisione nell’Eurozona limita l’impatto psicologico delle numerose misure, di fatto molto simili a un Qe classico, che la Bce ha iniziato a implementare.
In America i modelli prevedevano un’accelerazione del riassorbimento dei disoccupati nel mondo del lavoro. Questo, solitamente, produce un aumento dei consumi. Chi ha finalmente un lavoro può permettersi di spendere di più e, soprattutto, può ottenere un prestito per comprarsi una macchina, magari usata, o un elettrodomestico.
Il riassorbimento dei disoccupati c’è stato ed è andato oltre le più rosee previsioni. Quella che non è stata correttamente anticipata è la propensione al risparmio. Sono ormai più di tre mesi che a un forte aumento degli occupati corrisponde una crescita del reddito risparmiato.
Il consumatore americano è famoso per la sua propensione a spendere e indebitarsi anche in periodi incerti. Durante la crisi asiatica del 1998-99, ad esempio, un’ampia caduta delle borse e una caduta della produzione in molti paesi, i consumi americani continuarono a crescere a una velocità del 7 per cento annualizzato.
Certo, oggi è molto difficile ottenere un mutuo per una casa, ma un prestito per un’auto è di nuovo alla portata di tutti e acquistare a rate un televisore non è certo un problema. Quella che è cambiata, rispetto ai dati storici sui quali sono costruiti i modelli, è la fiducia nel futuro, su cui è basata la voglia di spendere.
Quando i mercati hanno scoperto un punto debole anche in America (i consumi) il quadro globale, già deteriorato in Europa e non brillante in Asia, è apparso improvvisamente a rischio. Mettendo insieme il rallentamento economico in tutto il mondo, la fine del Qe americano, l’inizio debole del Qe europeo e il sopraggiungere di Ebola nell’impreparazione generale, i livelli delle borse, non assurdi ma certamente piuttosto elevati, sono apparsi improvvisamente insostenibili. I bond di qualità migliore sono per contro tornati un porto sicuro, smentendo ancora una volta le previsioni di un ribasso imminente.
In altri momenti, fino a qualche settimana fa, una caduta così consistente delle borse sarebbe stata un forte richiamo per la liquidità che langue a rendimenti vicini a zero. Questa volta, tuttavia, lo spettro di Ebola, alimentato da certe previsioni particolarmente fosche, ha frenato la mano dei compratori, che vogliono evidentemente vederci più chiaro.
Per fortuna ci sono alcuni elementi positivi (o potenzialmente tali) che potrebbero indurre a non considerare conclusi definitivamente il grande ciclo rialzista delle borse e, soprattutto, la ripresa globale iniziata nel 2009.
Il primo, anch’esso non previsto dai modelli econometrici, è l’impressionante discesa del petrolio, che ha tutta l’aria di essere strutturale. Per i paesi importatori ha lo stesso effetto di un taglio delle imposte sui consumi. L’America, per quanto produttore di quantità crescenti di greggio e di gas, è ancora importatore netto e quindi trae anch’essa beneficio dalla nuova situazione, anche se meno di Europa, Asia e Giappone.
Il secondo è che gli utili del terzo trimestre, in via di pubblicazione, sono nel complesso all’altezza delle previsioni.
Il terzo è il già evidente cambiamento nella retorica della Fed. Fino a oggi le colombe si affannavano a sottolineare i punti deboli dell’economia americana con l’obiettivo di giustificare Qe e tassi a zero. Oggi insistono invece sulla sua forza strutturale, cercando così di infondere fiducia nei mercati. Nonostante questo, fanno capire che terranno i tassi a zero, in caso di bisogno, più a lungo di quanto non si era incominciato a pensare.
Il quarto è che sta allargandosi velocemente la consapevolezza che le politiche fiscali dovranno tornare ad affiancare le politiche monetarie nel sostegno alla domanda. Non lo dice più solo Krugman, lo affermano anche Schauble in Germania e, novità assoluta, repubblicani moderati come Glenn Hubbard, già capo dei consiglieri economici di Bush figlio. Una vittoria repubblicana anche al Senato potrebbe addirittura facilitare la cosa. In Europa, per non appesantire i disavanzi pubblici e non privare Schauble dello scopo della sua vita, il pareggio di bilancio tedesco nel 2015, si cercherà di usare al massimo la Bei e di attivare partnership tra pubblico e privato. I tempi purtroppo non saranno brevissimi, ma il messaggio sarà importante.
Il quinto è che il Qe europeo è appena cominciato e non potrà che accelerare.
Il sesto è che molti mercati si sono levati il pensiero della correzione del 10 per cento, quella che non si vedeva da troppo tempo e che ad alcuni toglieva la voglia di comprare.
Il settimo è che le clamorose falle di sistema nella risposta iniziale a Ebola in Spagna e in America hanno dato la sveglia, si spera, alle autorità politiche e sanitarie, adagiate finora in un atteggiamento compiaciuto e teso solo a rassicurare il pubblico. Sono in preparazione in giro per il mondo una decina di vaccini che sembrano promettenti sugli animali e che verranno sperimentati in Africa già da dicembre.
Ci viene ripetuto in queste ore che i mercati saranno ancora più volatili. Non lo sappiamo, anche perché la volatilità è molto difficile da prevedere. Spesso si usa la parola volatilità come un eufemismo che copre il concetto di discesa. Noi la intendiamo come un movimento irregolare vivace o anche violento che piò essere diretto verso il basso ma anche verso l’alto. In generale ci sembra un po’ tardi per vendere ma ancora presto per comprare.
A chi ha una quantità non eccessiva di azioni suggeriamo di tenere, senza farsi tentare dal comprare ancora. A chi ha molto consigliamo di vendere qualcosa su forza. A chi ha poco o nulla raccomandiamo di acquistare a piccole dosi su particolare debolezza.
Il dollaro non ci preoccupa. Il ritracciamento in corso è causato dalla chiusura generalizzata delle posizioni a leva e non rappresenta un’inversione di tendenza.
Copyright © Kairos Partners SGR. All rights reserved