Società

Anche Fitoussi vede “stagnazione decennale in Europa”

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BRUXELLES (SI) – Katainen adesso dice che non ce l’aveva con nessuno, ma io resto convinto che Italia e Francia hanno perso una grossa occasione per agire insieme, tenendo una posizione più ferma e cominciando a forzare la nuova Commissione a un’impostazione del tutto diversa della politica economica, a farla ragionare in termini più flessibili».

Jean-Paul Fitoussi , l’economista di SciencesPo che insegna anche alla Luiss e quindi conosce bene entrambi i Paesi, non riesce a mandar giù quei 4,5 miliardi per l’Italia e 3,5 per la Francia che sono costati il via libera da Bruxelles alle rispettive leggi di stabilità. La doppia lettera, prima da Roma e poi da Parigi con cui i due Paesi l’altro giorno sono venuti incontro alle richieste della Ue, «è un grave errore». E così la pronta ratifica delle nuove mini-manovre.

Si augurava una reazione più decisa, stile Montebourg, il ministro francese “dimissionato” da Hollande perché troppo critico con i tedeschi?

«Beh, così ci avevano fatto capire sia Renzi che soprattutto il nuovo ministro francese Sapin: quest’ultimo aveva iniziato a dire che la Francia supera i tetti di deficit e non ha nessuna intenzione di autoinfliggersi ulteriori pesanti sacrifici in nome di un dogmatismo di marca tedesca del tutto irragionevole.

E invece proprio questo è successo. La Francia, come l’Italia, attraversa una situazione economica gravissima e non è assolutamente in grado di tollerare ulteriori tagli di spesa, aumenti delle tasse, riduzione dei servizi. Le misure aggiuntive non so proprio che conseguenze potranno avere su due Paesi così provati».

Fino all’altra mattina, e fino all’ingresso nel consiglio europeo, la posizione di entrambi i Paesi sembrava molto più “sfidante”. Poi la Francia ha annunciato ulteriori tagli così come aveva fatto l’Italia poche ore prima, e infine ieri i due governi li hanno ratificati in tutta fretta. Cosa è successo? Un cedimento in nome della diplomazia?

«Secondo me è andata malissimo. Due governi democratici che eseguono gli ordini, anche piuttosto discutibili, di un funzionario europeo. Sia Padoan che Sapin si sono adattati alle indicazioni, forse sarebbe meglio chiamarle diktat, della Commissione sulla crescita potenziale per l’anno prossimo, il frutto di una elaborazione puramente teorica che Bruxelles ha fatto calare dall’alto adducendo un potere d’imperio che non ha. Perché considerare per la Francia l’1,2 anziché l’1,5?

Nessuno è stato in grado di spiegarcelo. E analogo discorso per l’Italia. Hanno sbagliato a prenderlo per buono senza eccepire, ad accettare anche loro, ripeto due governi democraticamente eletti, questa confusione fra contabilità aritmetica ed economia reale. Andava detto: guardate, voi sbagliate, i nostri calcoli sono diversi, e per il nostro Paese i calcoli li facciamo meglio noi.

Ora l’unico risultato, in tempi di deflazione, è che i deficit caleranno in misura minima ma continueranno a salire i debiti pubblici. Non era tempo di compromessi: nessuno consuma e sempre meno lo farà con nuovi tagli, questo bisognava far capire. È tempo di fare l’opposto del rigore, cioè di impostare politiche espansive altrimenti l’economia non si riprenderà mai».

Quindi lei è d’accordo con il suo collega, l’economista tedesco Wolfgang Munchau, che prevede una stagnazione di 10-20 anni per l’Europa?«Potrebbe aver ragione. Andrà sicuramente così se non si cambia radicalmente impostazione. Possibile lo è certamente: guardate al Giappone che non riesce a uscire dalla spirale perversa della deflazione da moltissimi anni. Ecco perché bisogna dire basta a terapie che non fanno che aggravare il male. Italia e Francia avevano un’occasione d’oro, se la sono lasciata sfuggire». Però, anche se non eletta, la Commissione, per quanto influenzata dall’eccessivo rigore del socio forte tedesco, è pur sempre l’organismo cui i Paesi hanno demandato il governo europeo.«Infatti è il momento di fare un salto di qualità in Europa iniziando a pensare a una Commissione eletta dal popolo come vogliono le più elementari regole di democrazia. Non possiamo farci governare da tecnici per di più scarsamente intelligenti».

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