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Lussemburgo vuole mettere fine al segreto bancario

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ROMA (WSI) – Dopo la Svizzera anche un altro paradiso fiscale in cui vige la protezione della sfera privata dei clienti delle banche potrebbe aprire alla trasparenza.

Approfittando di una legislazione fiscale soffice negli Stati Uniti e spinte dagli azionisti avidi di redditività, diverse multinazionali americane attraversano l’Atlantico per dissimulare una parte dei loro succosi profitti realizzati fuori dagli Usa. Tali pratiche hanno anche seriamente messo in imbarazzo Jean-Claude Juncker.

Le accuse dei favori fiscali fatti a tutta una serie di multinazionali statunitensi hanno spinto il governo del Lussemburgo a promettere di provvendere a mettere fine all’anomalia, ponendo rimedio. Presto lo stato che confina con Belgio, Germania e Francia potrebbe seriamente finire per ridurre i vantaggi del segreto bancario e abbandonare lo status di paradiso fiscale.

Oltre 340 società, tra cui Pepsi, Procter & Gamble, JP Morgan, AIG e Deutsche Bank, avrebbero usufruito – tra il 2002 e il 2010 – di accordi fiscali di favore stretti in gran segreto con lo staterello dell’Ue, unico granducato al mondo.

L’intesa, secondo il report dell’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ), avrebbe consentito alle multinazionali di pagare imposte relativamente basse. Come?

Pare che le aziende abbiano fatto transitare centinaia di miliardi di dollari attraverso il Lussemburgo, risparmiando miliardi di dollari.

L’ICIJ è arrivata alla conclusione dopo aver consultato un documento confidenziale di 28.000 pagine.

A essere nei guai dopo le rivelazioni è il presidente della Commissione europea Juncker, che è stato primo ministro del Granducato dal 1995 al 2013.

Pierre Gramegna, il ministro delle Finanze lussemburghesi, ha rifiutato di incolpare Juncker per le discutibili pratiche del periodo, insistendo tuttavia con fare promesse di una nuova cultura per una maggiore trasparenza finanziaria.

Ma il capogruppo del Pse, l’italiano Gianni Pittella, ha ricordato che a essere in gioco ora è la credibilità dell’uomo politico conservatore a capo della Commissione, in particolare in un periodo di grave crisi economica che costringe molti cittadini a rinunce e a una vita di stenti.

(DaC)