ROMA (WSI) – Il Jobs Act è una riforma del mercato del lavoro ancora in divenire. Nessuna fiducia al testo è prevista al testo in Senato. E lo stesso Disegno di legge approvato a Palazzo Madama lo scorso ottobre potrebbe finire per essere modificato alla Camera.
La decisione del governo ha fatto infuriare gli alleati di minoranza del Nuovo Centro Destra di Alfano, che ora chiedono un vertice di maggioranza “altrimenti rompiamo”.
A parte i problemi di natura interna e politica, l’ambizione di riformare il paese dell’esecutivo potrebbe essere deragliata dalla crisi economica. Una crescita ancora anemnica e un mercato del lavoro moribondo potrebbero complicare la vita a Renzi.
“La mia sensazione è che Renzi stia dando dinamismo a un paese che prima non ce l’aveva e che stia muovendo le cose nella direzione giusta. Tuttavia, non ciò non è abbastanza e se si guarda ai numeri economici essi dicono che i risultati ancora non hanno seguito le promesse”, ha osservato al Financial Times Andrea Montanino, direttore di economie e affari globali dell’Atlantic Council di Washington ed ex direttore dell’FMI per l’Italia.
Dopo aver preso il posto di Letta a febbraio, Renzi aveva previsto che dopo due anni di contrazione consecutiva il Pil sarebbe tornato a crescere dello 0,8% nel 2014. Il numero è ormai un miraggio lontano. Già in estate è diventato chiaro che le attese erano troppo ottimiste e che visto il contesto generale negativo e le tensioni in Ucraina, l’economia avrebbe ancora zoppicato per un altro anno almeno.
Bruxelles spera che l’Italia – entrata in una recessione tecnica – abbia finalmente trovato un leader in grado di sfruttare il suo successo di pubblico e la sua leva politica per mettere in pratica le politiche che da tempo chiede. A cominciare dalla riforma del mercato del lavoro.
L’ex sindaco di Firenze dispone di un’ampia maggioranza parlamentare che non si vedeva dai tempi della DC. Citando i tempi stretti, Renzi ha più volte ribadito che non è aperto a negoziazioni, spazientendo così i sindacati.
Il governo non vuole che si tocchino su certi punti delicati e considerati imprescindibili del Jobs Act, come la modifica all’articolo 18, ovvero il tema del reintegro per certi tipi di licenziamento.
Come ordine del giorno alla riunione del PD, il partito al governo, si deciderà come nella delega sarà recepito il testo della direzione sul reintegro su alcuni tipi di licenziamenti, il cui elenco arriverà coi decreti delegati.
È chiaro che la vera battaglia politico-ideologica si terrà sull’articolo 18. Già rivisto dal precedente governo dei tecnici sotto Monti, il famigerato articolo che i sindacati vedono come un baluardo irrinunciabile, anche per motivi di principio, sarà cambiato dal governo, se il ddl rimane così com’è.
“Il capitolo relativo all’articolo 18 potrà essere rivisto nel corso dell’esame della delega lavoro alla Camera, se i tempi di approvazione saranno brevi”, ha spiegato ieri il sottosegretario al Lavoro Teresa Bellanova, mettendo in chiaro quello che ancora ieri, per tutta la giornata, è stato l’oggetto di contatti e trattative a tutti i livelli.
“L’importante è stare nei tempi”, ha aggiunto. Il governo dice di essere aperto alle modifiche “pur di partire a gennaio”.
L’articolo 18 è una parte importante ma solo una piccola parte di quello dello Statuto dei Lavoratori, e cioè della legge cardine del 20 maggio 1970, numero 300, che contiene l’insieme delle norme riguardanti la “tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro”.
Si tratta insomma delle regole più importanti a tutela di illeciti e ingiustizie quando si parla di lavoro in Italia e che sono organizzate, nella legge, in diversi titoli dedicati a vari temi. L’articolo 18 rientra nel “Titolo II – Della libertà sindacale” e si occupa di regolare i licenziamenti che avvengono senza giusta causa per certe categorie di lavoratori e lavoratrici.
Non va dimenticato che la norma ha già ricevuto una modifica sostanziale nel 2012 con la riforma dell’allora ministro del Lavoro Elsa Fornero, che ha alleggerito i termini. In caso di licenziamento economico o disciplinare ora il reintegro non è più previsto.
Inoltre è bene ricordare che l’articolo controverso riguarda un numero ristretto di aziende in Italia e che i casi riportati di ricorso al giudice per tutelarsi da un licenziamento ritenuto illegittimo sono stati relativamente bassi.
Anche perché le tutele per licenziamenti discriminatori ed economici stabilite dall’articolo 18 sono applicate solamente nelle aziende che hanno 15 o più dipendenti.
Allo stato attuale, se il giudice stabilisce l’annullamento del licenziamento ci sono per il datore di lavoro e il licenziato diverse conseguenze che cambiano a seconda del tipo di licenziamento (discriminatorio, per giustificato motivo soggettivo o giusta causa (disciplinare), per motivi economici).
Se un lavoratore licenziato ottiene il reintegro per decisione del giudicie, potrebbe anche chiedere in cambio un’indennità. Il reintegro può essere stabilito solo nel caso in cui sia dimostrabile che il fatto su cui è stato basato il licenziamento è in modo manifesto “insussistente”.
(DaC)