BRUXELLES (WSI) – Il Lussemburgo ha finito per cedere alle pressioni delle autorità europee. Il Gran Ducato renderà noti tutti i dettagli degli accordi fiscali stretti con le multinazionali mondiali, tra cui Amazon e Fiat, per aiutare le aziende a evadere le tasse.
Si tratta di centinaia di contratti firmati con alcune delle maggiori imprese al mondo. Altri paradisi fiscali seguiranno.
L’inziativa era inattesa. In un primo momento infatti il Lussemburgo aveva promesso che avrebbe portato in tribunale la Commissione Europea, nel disperato tentativo di mantenere segreti gli accordi.
Poi è arrivato l’annuncio del primo ministro Xavier Bettel: il paese risponderà alle richieste della commissione e rivelerà il contenuto dei contratti fiscali firmati tra il 2010 e il 2013, anni in cui a guidare il governo del Gran Ducato era l’attuale presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker.
A convincere il Gran Ducato è stato il fatto che l’Unione Europea abbia allargato il suo appello alla trasparenza a tutti gli stati membri. Adesso che parteciperanno anche Cipro, Irlanda e altri stati che offrono vantaggi fiscali alle aziende, come corporate tax vantaggiose e altri cavilli, il Lussemburgo si è convinto ad accogliere le richieste europee.
Verrano resi noti l’identità di tutti i beneficiari e il tipo di schemi cossidetti della “scatola di licenza”. Tali strutture consentono alle società di pagare tasse inferiori sui ricavi incassati di brevetti e casi di proprietà intellettuale.
“Se le regole sono le stesse per tutti, allora non siamo contrari”, ha detto Bettel.
Il Lussemburgo ha stretto accordi fiscali di favore con più di 400 aziende internazionali. a rivelarlo sono stati 28.000 documenti pubblicati in novembre, in cui si è appreso che, facendo passare i soldi dal Gran Ducato, alcuni gruppi hanno pagato una tassa di appena l’1%.
Il Gran Ducato si è sempre difeso, sottolineando che il suo regime fiscale vatnaggioso è simile all’impianto di altri Stati membri dell’Ue, come Cipro, Irlanda, Olanda, Regno Unito e Malta.
Fonte: Financial Times
(DaC)