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Jobs Act, caos licenziabilità statali. Renzi: “sono stato io”. Maggioranza spaccata

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ROMA (WSI) – Rischio di strappi nella maggioranza di governo. Il premier Matteo Renzi cerca di minimizzare il clima di alta tensione nato attorno alla questione della licenziabilità o meno degli statali e, in un’intervista a Qn, afferma che l’ultima parola spetterà al Parlamento. “Sarà il Parlamento a pronunciarsi sulla licenziabilità o meno degli statali. Esiste giurisprudenza nell’uno e nell’altro senso. Ma non sarà il governo a decidere. A febbraio, quando il provvedimento sul pubblico impiego firmato da Marianna Madia verrà discusso in Parlamento, saranno le Camere a scegliere. Non mancherà il dibattito, certo”.

Poi, nel corso della conferenza stampa di fine anno, dice: “Sono stato io” a proporre di escludere dalle deleghe sulla riforma del lavoro il pubblico impiego.

Le polemiche infuriano, e il Jobs Act assume contorni meno definiti, dopo le ultime dichiarazioni sui suoi decreti attuativi: valgono anche per la Pubblica Amministrazione o no? Nel suo blog Pietro Ichino di Scelta Civica scrive che sì, i decreti attuativi valgono anche per la PA: “Quando il governo ha deciso di non escludere dal campo di applicazione i nuovi assunti nella p.a. erano presenti anche Poletti e Madia”.

Aggiungendo che: “la cosa migliore è far parlare i fatti. Conosciuti quelli, ciascuno ne tragga le conclusioni”.

“23 dicembre, h. 19.02 – L’ultima bozza del decreto sfornata dai tecnici ministeriali contiene un terzo comma dell’articolo 1 che recita testualmente così: ‘La disciplina di cui al presente decreto legislativo non si applica ai lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165′”. Poi ancora: “H. 19.47 – Invio ad almeno una dozzina di esponenti del governo e della maggioranza che si stanno occupando della redazione del decreto un messaggio nel quale, insieme a diverse altre osservazioni sulla bozza, scrivo: “Articolo 1, comma 3: è semplicemente assurda l’esclusione dei nuovi assunti nelle amministrazioni pubbliche dalla nuova disciplina che stiamo emanando. Tredici anni fa, nel Testo Unico sul pubblico impiego (d.lgs. n. 165/2001, c.d. riforma Bassanini) si è stabilito che, escluse assunzioni e promozioni, per ogni altro aspetto – salve eccezioni rispondenti a esigenze particolari – il rapporto di pubblico impiego deve essere assoggettato alle stesse regole del rapporto di lavoro privato; ora, con questo comma, derogheremmo a questo principio importantissimo, proprio nel momento in cui compiamo un passaggio fondamentale che potrebbe altrimenti costituire di per sé una riforma quasi più importante nel settore pubblico rispetto a quello privato. In questo modo, non soltanto perderemmo un’occasione d’oro per cambiare faccia al settore pubblico, ma torneremmo indietro rispetto al principio affermato nel 2001, sancendo l’intoccabilità dei pubblici dipendenti. Questo comma deve essere semplicemente soppresso!”.

Il senatore prosegue nella sua ricostruzione: “24 dicembre, fra l’una e le quattro – Il Consiglio dei ministri approva un testo del decreto nel quale il comma 3 dell’articolo 1 non c’è più. Alla seduta partecipano anche Giuliano Poletti e Marianna Madia, rispettivamente ministri del Lavoro e della Funzione pubblica. E non risulta che su questo punto si siano espressi in senso contrario”.

Ichino conclude: “27 dicembre – Gli stessi due ministri dichiarano alla stampa che i nuovi rapporti nel settore pubblico devono essere esclusi dall’applicazione della nuova normativa dettata per la generalità dei rapporti di lavoro. Evidentemente hanno cambiato idea rispetto alla seduta del 24, ritenendo che si debba tornare indietro rispetto alla riforma Bassanini del 2001. Ma dovranno convincerne il resto del Governo e della maggioranza. Mi sembra molto improbabile”.

Ricostruzione anche da parte del capogruppo al Senato di Area popolare ed esponente Ncd, Maurizio Sacconi che in una nota scrive: “Ricordo ancora che in Parlamento Ncd presentò un emendamento per la omologazione del lavoro, pubblico e privato, con la sola eccezione per le cosiddette carriere d’ordine (prefetture, diplomazia, forze armate e polizie, magistrature) e per le procedure concorsuali di ingresso. Il Pubblico impiego potrebbe così utilizzare l’apprendistato, dovrebbe rispettare le regole sui contratti a termine ponendo fine a quel precariato di lungo periodo che poi si stabilizza senza concorso, sarebbe soggetto alle procedure di licenziamento individuale e collettivo”.

“Ritirammo l’emendamento perché il Governo si impegnò ad attuare la norma vigente che lo impegna alla unificazione. Ora ci spieghi perché no. E non ricorra a ragioni formali perché sarebbero a favore della nostra tesi. Ci dica nella sostanza quali motivi di efficienza deporrebbero contro l’unico mercato del lavoro”.