Germania: “Atene non ci ricatterà più”. Ma Economist: “non fate come ai tempi Lehman”
ROMA (WSI) – Il destino della Grecia? Alla Germania di Angela Merkel non interessa probabilmente più. E’ la conclusione a cui si arriva nel leggere le dichiarazioni che Michael Fuchs, membro senior del partito cristiano-democratico della cancelliera, ha rilasciato al quotidiano tedesco Rheinische Post.
Il punto cruciale dell’intervista è nella seguente frase: L’Eurozona non è più obbligata a salvare la Grecia. Il paese non ha infatti più una importanza sistemica per l’Eurozona e, di conseguenza, Atene non potrà “più ricattare” gli altri paesi membri.
“Se Alexis Tsipras, leader del partito greco di sinistra Syriza, penserà di poter ridurre gli sforzi per le riforme e le misure di austerity, allora la Troika dovrà tagliare i crediti erogati alla Grecia -, ha detto Fuchs – I tempi in cui eravamo costretti a salvare la Grecia sono finiti. Non c’è più possibilità di ricattarci politicamente”.
Tsipras aveva promesso agli elettori che in caso di vittoria del suo partito, l’austerity sarebbe entrata a far parte della storia.
I commenti di Fuchs riflettono quelli precedenti del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, che ha affermato che “non esistono alternative” ai cambiamenti strutturali necessari in Grecia. E mettono in evidenza, per l’ennesima volta, il rigore tedesco, accompagnato da una maggiore sicurezza di farcela, anche senza la Grecia.
Intanto ad Atene si è sciolto il Parlamento. I greci torneranno alle urne il prossimo 25 gennaio, dopo la disfatta del premier Antonis Samaras che lo scorso 29 dicembre, per la terza volta, non è riuscito a ottenere il numero di voti necessari per il suo candidato alla Presidenza della Repubblica, Stavros Dimas.
Le preoccupazioni della comunità finanziaria internazionale riguardano ora la molto probabile vittoria del partito di Syriza, che rifiuta di accettare le condizioni di austerity imposte dalla troika in cambio di aiuti. Le casse dello stato della Grecia, di fatto, dipendono dalla Troika già nel breve termine. La Commissione formata da membri di Ue, Bce e Fmi ha deciso di estendere il programma di salvataggio fino alla fine di febbraio, rifiutandosi però di concedere un’altra linea di credito per il periodo successivo, in attesa di nuove negoziazioni con Atene.
Il punto è che il paese deve onorare il pagamento di debiti a scadenza nei primi tre mesi del 2015, che ammontano a quasi 5 miliardi di euro; e questo fattore riporta lo spettro di un default disordinato e di un’uscita della Grecia dall’euro, visto che Tsipras non sarebbe disposto a mettere in atto quelle misure di austerity tanto care alla Germania.
I mercati sono già andati in subbuglio nel giorno della disfatta di Samaras, con Atene che ha perso fino a -11%. Ma il listino è risalito dai minimi intraday nel finale, così come anche Piazza Affari, inizialmente scossa dalla prospettiva del Grexit. L’interrogativo è, dunque, d’obbligo.
La Grecia non spaventa più l’Europa, come un tempo? E se sì, il clima di maggiore fiducia deve essere letto in chiave positiva o nasconde invece un ulteriore pericolo?
Un’analisi attenta del fenomeno è stata pubblicata dall’Economist: analisi che forse l’alleato della cancelliera tedesca Merkel dovrebbe leggere bene, e che ha un titolo più che indicativo: The euro’s next crisis, ovvero la “prossima crisi dell’euro”.
L’Economist ricorda che “la Grecia è stato il primo paese (membro dell’area euro) a ricevere un bail out, nel maggio del 2010”, per essere poi oggetto di un “continuo dibattito su una sua possibile uscita dall’euro (la cosiddetta Grexit) nel 2011 e, ancora, nel 2012”.
Inoltre, il paese è “l’unico dell’euro il cui debito ufficiale è stato ristrutturato”.
Ora, con le elezioni anticipate, “la crisi dell’euro entra in una nuova fase molto pericolosa, e ancora una volta la Grecia” è protagonista. Al momento, “gli investitori sembrano scommettere sul fatto che i cittadini di Italia, Spagna e Francia, guarderanno velocemente al caos di Atene, e lo ignoreranno, continuando ad accettare le misure di austerity che Angela Merkel ha prescritto per loro”.
Ma per l’Economist, “è difficile credere che la crisi della Grecia non provocherà nuovi tumulti in altre aree dell’Eurozona, soprattutto se si considera che parte della medicina di Merkel sta facendo più male che bene”.
Certo, “molto è stato fatto per migliorare l’architettura dell’euro, con un nuovo fondo di salvataggio, il ruolo della Bce come prestatore di ultima istanza, e una unione parziale bancaria”. Europe’s Lehman moment?, si chiede tuttavia l’Economist.
“Anche se si presenta oggi più sicuro, lo scenario Grexit è ancora pericoloso e imprevedibile. C’è stata un’eco questa settimana della crisi di Lehman Brothers del settembre del 2008. A quei tempi, era ampiamente diffusa la convinzione che il sistema finanziario globale fosse robusto in modo sufficiente per far fronte al fallimento di una banca di investimento. (Allo stesso modo), ora, gli investitori stanno riponendo la fiducia sulla resistenza di paesi afflitti dalla disoccupazione come la Francia, il cui presidente è alle prese con un forte calo di popolarità, e l’Italia, la cui economia si è contratta nei primi 14 anni di questo secolo (perfino il Pil della Grecia è più alto ora rispetto al 1999)”.
Per il settimanale britannico, è fondamentale che non si commetta di nuovo un errore ben preciso: l’eccesso di fiducia.
“Con il 2015 in arrivo, la maggior parte dei leader europei ha creduto che il peggio della crisi dell’euro fosse passato. Le elezioni anticipate in Grecia mostrano che quella speranza è stata prematura”. E infine, il monito: “partiti populisti di sinistra e destra che sono contrari all’euro, in modo esplicito o meno, continuano a guadagnare terreno in molti paesi” e “ironicamente, il momento in cui (l’economia di un) paese inizia a riprendersi, corrisponde anche al momento in cui il malcontento del popolo esplode. Ed è necessario che tale messaggio arrivi sia a Berlino che ad Atene”. (Lna)