Svizzera, dopo fine segreto bancario banche hanno piano per evitare fuga clienti italiani
GINEVRA (WSI) – Con la fine del segreto bancario, sancita dallo storico accordo fiscale bilaterale tra Italia e Svizzera, le banche elvetiche – già alle prese con un franco forte e con aspre polemiche dopo le rivelazioni della lista Falciani – hanno paura di subire un ulteriore doccia fredda dai deflussi massicci di fondi degli italiani benestanti.
Non si conoscono le cifre ufficiali, ma più di due terzi dei fondi italiani nascosti all’estero ed emersi in superficie con l’ultima amnistia fiscale venivano dalla Svizzera, il maggiore centro di fondi offshore al mondo con 2.300 miliardi di dollari di asset facenti capo a non residenti. Le stime parlano di 160 miliardi di euro di beni deposititati nella Confederazione elvetica non dichiarati in Italia.
L’accordo che a prima vista potrebbe sembrare penalizzante concede in realtà ai gestori una grande opportunità, quella di mantenere i clienti anche dopo la fine del segreto bancario. Ora le banche elvetiche possono infatti fare in modo di scongiurare un rientro di capitali in massa, mentre prima avrebbero sicuramente perso tutta la clientela italiana, visto che non possono più avere denaro non dichiarato nelle proprie cassaforti.
I clienti italiani che si autodenunceranno alle autorità fiscali italiane dovranno pagare tra il 7 e il 12% di tasse pregresse sugli attivi nascosti nei forzieri oltralpe. Se la Svizzera non avesse stretto l’accordo con il governo italiano, la percentuale sarebbe stata di anche il 40% in certi casi. Con il risultato che molti clienti sarebbero scappati.
Sicuramente il rientro di capitali ci sarà, ma – dicono gli analisti – sarà meno disastroso di quanto sarebbe stato per le principali banche svizzere se un accordo non ci fosse stato. I due maggiori gruppi del paese, Ubs e Credit Suisse, hanno perso un terzo dei capitali che sono stati dichiarati all’erario italiano e fatti rientrare nell’ambito dell’amnistia fiscale del 2009.
“L’Italia era il più importante mercato dopo Francia, Germania e Regno Unito, e una soluzione per gli asset non dichiarati andava trovata”, dice a Bloomberg Andreas Venditti, analista bancario presso Vontobel a Zurigo. “Le banche subiranno la fuoriuscita di miliardi di capitali, ma almeno i clienti più abbienti continueranno a tenere i conti presso di loro” dopo averli dichiarati al fisco.
KPMG, per esempio, si è mossa per tempo e ha già dispensato consigli a 300 clienti italiani su come procedere con l’autodenuncia. Di loro, solo uno ha deciso di spostare i soldi dalla Svizzera in un altro paese, citando ragioni personali all’origine della sua decisione. Alcuni clienti hanno deciso di aggiungere altri fondi nei loro conti all’estero, dopo essersi messi in regola.
Anche perché molti italiani non si fidano dell’amministrazione di casa. “È una delle ragioni per cui – dice a Bloomberg Louis Macchi, consulente fiscale di PwC a Lugano – i clienti continueranno a mantenere i soldi in Svizzera”. Macchi si aspetta di vedere almeno 50 mila casi di dichiarazione volontaria al fisco.
La voluntary disclosure è un procedimento di ‘pacificazione fiscale’ tra l’evasore e l’erario italiano che consente al contribuente – su sua stessa iniziativa – di fare rientrare i capitali in patria, pagando tasse e interessi sul pregresso, ma al contempo ottenendo in tanti casi un salvacondotto penale e una sanzione irrisoria rispetto a quella tradizionale.
Per molti evasori è un’occasione d’oro per far rientrare i capitali in Italia e mettersi in regola in extremis.
Da parte loro le società del credito svizzere depositarie dei denaro dei ricchi evasori italiani, che collaboreranno con l’agenzia delle Entrate nell’ambito del programma di voluntary disclosure, inviando dati relativi a contribuenti italiani, non commetteranno un reato federale.
La svolta sancita dalla firma di Berna è epocale anche perché sarà seguita da accordi simili che verranno stretti con altri paesi ‘paradisi fiscali’ come il Lichtenstein e probabilmente Montecarlo.
Fonte: Bloomberg
(DaC)