Società

Nuovi sussidi di disoccupazione, chi ci guadagna

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Alla maggiore flessibilità del mercato del lavoro il governo sta cercando di affiancare un welfare più generoso.

Uno dei modi per farlo è l’introduzione di nuovi sussidi di disoccupazione, che esordiscono il primo maggio. A usufruirne saranno i lavoratori subordinati in stao di disoccupazione involontaria. Le indennità converranno a chi ha lavorato di più, mentre penalizzeranno chi ha gli stipendi più alti.

La rivoluzione del governo prevede che l’indennità Naspi sia affiancata da due trattamenti contro la disoccupazione, che tuteleranno i precari e coloro che hanno esaurito l’assegno. Il sussidio spetterà anche a chi ha subito un licenziamento disciplinare.

I tre requisiti principali sono: la mancanza di un impiego; 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione; 30 giorni di lavoro effettivo nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo senza un lavoro.

Il sussidio è pari al 75% della retribuzione nel caso non superi i 1.195 euro. Come ricorda La Stampa se invece lo stipendio è più alto, alla soglia dei 1.195 euro si aggiunge il 25% del differenziale tra questo e la retribuzione con un massimale per l’indennità di 1.300 euro. Il limite massimo è più alto rispetto all’Aspi.

“Con la Naspi si ha una decurtazione dell’importo del 3% ogni mese dal quarto mese di fruizione. Se si prende l’indennità per 16 mesi le penalizzazioni alla fine sono del 30% con l’Aspi e del 39% con la Naspi”, scrive il quotidiano torinese.

L’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego) è stata introdotta per la prima volta con la da molti odiata ‘Riforma Fornero’. L’assegno, il cui obiettivo è andare ad aumentare il reddito di quei lavoratori senza più occupazione, è andata a sostituire e inglobare le precedenti indennità di disoccupazione e di mobilità.

Un’altra novità introdotta dal governo sono i contratti a tutele crescenti. Renzi e Padoan hanno accolto con euforia la crescita dei nuovi posti di lavoro registrata a inizio 2015, citando l’introduzione della nuova tipologia di contratti come uno dei fattori dietro alla ripresa del mercato occupazionale.

Guardando ai numeri si vede che a gennaio il saldo è stato più 334.923, a febbraio più 123.715 e in marzo più 92.299. Il trend è chiaramente ‘calante’ e in realtà il Jobs Act è entrato in vigore il 7 marzo, non prima.

Dal primo gennaio a partire sono invece stati gli sgravi contributivi previsti dalla legge di stabilità. Gli stessi datori di lavoro hanno citato gli sgravi fiscali come la ragione numero uno che li spinge ad assumere e non le nuove tiplogie di contratto.

Pur riconoscendo l’impegno preso dall’esecutivo sotto il profilo delle riforme, non solo nel mercato del lavoro, l’Italia ha ancora molta strada da fare. Il governo sta tentando di porre rimedio alle tante debolezze di un’economia che non cresce da più di dieci anni.

In marzo gli analisti di Credit Suisse avevano scritto che buona parte dei dubbi circa l’abilità dell’amministrazion di implementare le riforme erano rientrati, citando i giudizi positivi degli istituti internazionali sulle nuove misure.

Sul versante del lavoro e in generale della competitività su scala internazionale l’Italia è ancora indietro rispetto a tanti paesi europei. “L’Italia deve concentrarsi sulla piena implementazione dei suoi pacchetti di riforme e il successo vero delle misure non si ferma a livello legislativo ma deve essere seguito anche sul piano delle amministrazioni pubbliche e delle autorità locali, perché gli effetti possano vedersi sull’economia generale”.

Rimane ancora molto da fare per poter scalare la scala della competitività internazionale.

(DaC)