Dal 19 gennaio sono riuniti a Baku gli ambasciatori USA nei paesi del Caspio e in Turchia assieme a circa una cinquantina di alti funzionari venuti da Washington.
Tra gli argomenti in discussione gli oleodotti che dal Caspio dovrebbero portare petrolio e gas fino in Turchia e il Mediterraneo. La Casa Bianca ha da sempre appoggiato la “via Turca” per gli idrocarburi del Caspio, anche se i costi della pipeline da Baku a Ceyahn nel sud della Turchia sono giudicati dagli esperti piu’ onerosi rispetto ad altre alternative, cioe’ quella Iraniana o quella Russa. Ma qui sta il significato politico della scelta.
Per anni il prezzo del petrolio non pareva giustificare i costi della “via Turca”, oggi invece con un prezzo del WTI a 28 dollari e di quello del Caspio di 24 dollari al barile, i conti potrebbero tornare.
Gli accordi tra paesi OPEC, Messico e Venzuela volti a mantenere la produzione ai livelli attuali anche dopo marzo, inoltre l’inverno freddo sia in Europa sia in Nord America, l’ incertezza Iraq e la ripresa dei consumi di energia in Estremo Oriente, sembrano giustificare un prezzo del greggio alto per un lungo periodo.
Questi valori del greggio contrariamente a dieci anni fa non hanno fatto scattare una spinta inflazionistica negli USA, anche se l’effetto sull’Europa potrebbe essere peggiore, sia per la piu’ modesta crescita economica, sia per la debolezza dell’euro vis-a-vis il dollaro.
I valori attuali del greggio hanno anche dato un po’ di fiato alle economie dei paesi produttori e primi fra tutti Arabia Saudita, Messico e Venezuela; ma anche la Russia se ne e’ giovata, e non ultime le compagnie petrolifere, come i risultati di bilancio di questi giorni hanno indicato.
L’interesse quindi a mantenere i prezzi alti e comunque superiori ai 24 dollari per il WTI e in scala per le altre qualita’ di greggio, sembra essere solido.
Ma contrariamente agli anni settanta il vero problema energetico non e’ dei paesi consumatori ma dei paesi produttori: la prima sfida e’ di trovare un ruolo nella nuova industria energetica del futuro, che non e’ piu’ solo quello di produrre greggio; la seconda e’ di ridurre l’enorme dipendenza dei paesi petroliferi dal greggio come unica o quasi fonte di reddito.
I paesi esportatori di petrolio, specialmente quelli del Golfo, sono tra gli ultimi nelle classifiche dei “foreign direct investments” (FDI).
Questi stessi paesi non hanno ancora affrontato i problemi ambientali e del cambio di clima ormai sempre piu’ pressanti, ne’ i problemi collegati all’ ecologia e il loro impatto sul settore energetico, mentre invece le grandi compagnie petrolifere internazionali hanno gia’ cominciato a farlo.
Con un greggio a prezzo alto, in sostanza, alcuni dei paesi produttori potrebbero essere tentati a ritardare il varo di riforme strutturali della loro industria e della loro economia, marginalizzandosi sempre di piu’ dal global business.
Giandomenico Picco e’
Chairman di GDP Associates, INC., New York