Economia

Eccesso di offerta mette KO i prezzi del petrolio. Vendite sul rublo

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ROMA (WSI) – Proseguono le vendite sul petrolio, con i futures sul contratto WTI scambiato sul Nymex e le quotazioni del Brent che testano nuovi minimi.

I futures newyorchesi proseguono la loro discesa nel mercato orso in cui sono scivolati la scorsa settimana, e calano per la quinta sessione consecutiva. Il problema si chiama surplus, o eccesso di offerta: una situazione che, stando a quanto fa notare un articolo di Bloomberg, interessa diversi mercati globali, a partire dal Medio Oriente fino ad arrivare agli Stati Uniti.

Tra le vittime, il rublo russo, che si deprezza superando la soglia di 60 nei confronti del dollaro, dopo aver perso già il 2% del suo valore nella sessione di ieri. La valuta torna al di sopra di quota 60 per la prima volta dallo scorso marzo, scontando la flessione dei prezzi del greggio, che rende più difficile il cammino verso la ripresa dell’economia.

Le vendite sul rublo rischiano di peggiorare il quadro dell’inflazione e dei consumi. “L’inflazione è già estremamente elevata. Un nuovo forte calo del rublo potrebbe farla salire ulteriormente, fattore che intensificherebbe le pressioni sui redditi reali delle famiglie”, ha commentato alla France Presse Liza Ermolenko, economista dei mercati emergenti.

I bassi prezzi del greccio hanno provocato un tonfo del rublo, che ha perso oltre il 15% del suo valore nei confronti del biglietto verde nell’arco di appena più di due mesi.

Intanto le esportazioni di petrolio dal sud dell’Iraq hanno testato un nuovo record a luglio, mentre un sondaggio di Bloomberg prevede che le scorte di petrolio crude degli Usa siano cresciute di nuovo nella settimana conclusa lo scorso 24 luglio. Anche il Brent è in mercato orso, avendo chiuso la seduta della vigilia a un valore in perdita di oltre -20% rispetto ai massimi di maggio.

L’indice delle materie stilato da Bloomberg, il Bloomberg Commodity Index, è sceso per la quarta seduta consecutiva, testando il nuovo minimo in 13 anni.

Fallita appare la ripresa dei prezzi del petrolio dai minimi in sei anni: d’altronde, in Usa si produce al tasso più alto in quasi tre decenni e valori record di produzione interessano anche i membri dell’Opec.

Vittima illustre del tonfo delle quotazioni petrolifere è il colosso BP, che proprio oggi ha comunicato che gli utili – effettuati gli aggiustamenti legati a voci straordinarie di bilancio e a cambiamenti nelle scorte – sono crollati -64% nel secondo trimestre dell’anno, a $1,3 miliardi, al di sotto dei $1,7 miliardi attesi dagli analisti intervistati da Bloomberg.

I risultati più deboli delle attese aumentano la pressione sull’AS Bob Dudley affinché tagli le spese in conto capitale per mantenere i dividendi. Certo il crollo del Brent di circa -50% nell’ultimo anno ha inciso pesamente sulla redditività del colosso, terzo maggiore produttore in Europea.

Dudley prevede un periodo più lungo di bassi prezzi del petrolio e parla di “contesto esterno che rimane denso di sfide”.

Intanto a New York il West Texas Intermediate con consegna a settembre è sceso fino a $46,92 durante le contrattazioni elettroniche del Nymex, dopo aver chiuso ieri a $47,39, al valore minimo di chiusura dallo scorso 20 marzo. Il volume di tutti i futures scambiati è stato inferiore -26% rispetto alla media degli ultimi 100 giorni e i prezzi hanno perso -23% dalla chiusura più alta registrata lo scorso 10 giugno.

Tornando al sud dell’Iraq, secondo maggiore produttore dell’Opec, le esportazioni di luglio sono balzate a 3,064 milioni di barili al giorno, mentre secondo un sondaggio di Bloomberg, l’Agenzia Usa di informazione sull’Energia renderà noto domani che le scorte di petrolio crude sono aumentate di 700.000 barili la scorsa settimana: un guadagno che, se concretizzato, porterà l’offerta Usa a un valore superiore di 100 milioni di barili circa rispetto alla media degli ultimi cinque anni. (Lna)

Fonte: Oil Extends Decline in Bear Market Amid Signs Glut Will Persist