Economia

Guerra valutaria si intensifica, Cina affossa ancora lo yuan

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ROMA (WSI) – Anche domani sarà una giornata importante per la Cina e i mercati finanziari di tutto il mondo. La People’s Bank of China ha infatti indetto una conferenza stampa: si attendono nuovi annunci, dopo quelli shock di oggi e della vigilia. Alcuni analisti temono una terza svalutazione dello yuan, ma il Wall Street Journal riporta che già negli ultimi minuti di contrattazioni della seduta odierna la Cina sarebbe intervenuta sui mercati dei cambi, per prevenire un eccessivo crollo nel valore dello yuan rispetto al dollaro.

Secondo alcune fonti, la Banca centrale avrebbe chiesto alle banche statali di vendere dollari negli ultimi 15 minuti della seduta, portando così lo yuan a salire dell’1% contro il dollaro.

La decisione a sorpresa della Cina di svalutare oggi lo yuan per il secondo giorno di fila ha stravolto i mercati, in particolare in quei paesi che fanno grande affidamento sulle esportazioni verso la Cina.

La valuta cinese ha perso circa il 3,5% nelle ultime due sedute, scivolando ai minimi di quattro anni. (prima di recuperare +1%).

Dopo la delusione per gli ultimi dati macro, la PBoC ha raddrizzato ulteriormente il tiro, correggendo il cambio dollaro yuan con un deprezzamento della divisa nazionale di un ulteriore 1,62% dopo l’1,9% di ieri.

Secondo fonti citate da Reuters, il processo di svalutazione potrebbe non fermarsi qui, viste le pressioni a cui sono sottoposte le autoritĂ  di politica monetaria.

La mossa della banca centrale cinese, in risposta alla decisione dell’Fmi di rinviare a settembre 2016 l’inclusione della valuta cinese all’interno del SDR (i.e. diritti speciali di prelievo), ha l’obiettivo di far si che siano i mercati a stabilire i tassi di cambio sul Forex.

Se le altre potenze del continente asiatico dovessero rispondere con il fuoco alle mosse choc della banca centrale cinese, l’Asia potrebbe trovarsi impantanata in una guerra valutaria su grande scala.

La Cina ha avviato per prima la guerra valutaria mondiale, quando a inizio settimana ha svalutato la propria moneta al ritmo più alto dalla crisi di Lehman Brothers. La svalutazione è infatti al record in almeno 20 anni, e pone fine al peg verso il dollaro di quattro mesi, che ha zavorrato le esportazioni.

Il tasso di riferimento giornaliero dello yuan, fissato dalla Banca centrale della Cina, la People’s Bank of China, è stato ridotto dell’1,9%, scatenando lo scivolone dello yuan al ritmo più forte dal gennaio del 1994.

Già nella giornata di ieri, la svalutazione aveva sconvolto gli altri mercati valutari dell’Asia, con le valute della Corea del Sud, di Australia e Singapore scese oltre -1%, sulla scia di speculazioni secondo cui, nell’ambito di questa nuova e intensificata guerra valutaria, anche gli altri paesi asiatici tenteranno di indebolire le loro monete, al fine di mantenere competitive le proprie esportazioni.

Gli interventi ripetuti della Cina sui mercati valutari hanno contribuito al crollo del valore di ben $300 miliardi nelle riserve estere del paese, nel corso degli ultimi quattro trimestri.

Lo yuan risulta la valuta che ha riportato la migliore performance sui mercati emergenti, fattore che però ha contribuito al tonfo delle esportazioni, lo scorso mese, pari a -8,3%.

“Il rischio è che la svalutazione scateni una fuga di capitali, mettendo a repentaglio la stabilità del sistema finanziario della Cina”, ha detto Tom Orlik, responsabile economista dell’area Asia presso Bloomberg Intelligence.

Orlik stima che il deprezzamento pari all’1% del tasso effettivo reale di cambio sostiene la crescita delle esportazioni con +1% dopo un arco di tempo di tre mesi. Allo stesso mese, lo stesso deprezzamento -1% contro il dollaro provoca flussi in uscita per $40 miliardi. (Lna-DaC)