MILANO (WSI) – I mercati hanno brindato subito all’annuncio di Mario Draghi, numero uno della Bce, di rafforzare il quantitative easing (QE) a dicembre. Molto probabilmente, però, i fondamentali dell’economia non faranno lo stesso.
Che il trend dell’azionario non possa essere più considerato un termometro totalmente affidabile delle condizioni di salute della congiuntura sembra ormai assodato, anche se è vero che i timori di recessione poi vengono puntualmente scontati dagli indici di Borsa. Apparentemente l’intenzione di Draghi è nobile, in quanto rafforzando il QE il responsabile della politica monetaria dell’area euro vuole contrastare le minacce di deflazione e continuare a stimolare le banche a erogare crediti a imprese e famiglie.
Ma davvero il QE raggiunge questi obiettivi? Non sembra esserne convinto non uno qualunque, ma uno stesso consigliere della Bce: esattamente Ilmars Rimsevics, governatore della Banca centrale della Lettonia, che inaugurando un convegno a Riga parla del piano di quantitative easing come di “un’aspirina”, a cui si ricorre per curare una malattia grave. Sarebbe come “innaffiare una pietra” e sperare che fiorisca. Non solo dunque Jens Weidmann, numero uno della Bundesbank: chi altri, oltre a Rimsevics, uscito allo scoperto, è ora contro le mosse di Draghi?
Dal momento degli esperti, sull’efficacia del QE non è convinto neanche Lit Juckes, analista presso Société Générale, che afferma che il tanto osannato quantitative easing della Bce non è riusciuto affatto ad aumentare l’erogazione dei prestiti da parte delle banche. “Non capisco come un ulteriore QE della Bce possa davvero sostenere l’attività economica e, in modo specifico, come possa sostenere la crescita dei prestiti. L’altra questione attiene ai mercati: Non so dire fino a che punto i rendimenti dei Bund tedeschi possano scendere, in un contesto in cui la crescita (economica) si smorza e gli investitori scontano uno scenario, andando in avanti, di interessi a zero (o negativi), il che significa sempre meno rendimenti nei loro portafogli”.
“Fino a che punto i tassi sui Bund possono scendere? Quando i tassi sui Bund a 10 anni balzarono dagli 8 punti base della metà di aprile ai 98 punti base della metà di giugno, si disse che le previsioni di una flessione verso lo zero fossero state eccessive. Il rapporto euro/dollaro ha seguito lo spread tra tassi decennali dei Bund e dei Treasuries in modo molto più rappresentativo dei differenziali tra i tassi a breve termine, da quando la Bce ha tagliato i tassi a gennaio (quelli sui depositi sono diventati negativi. La marcia al ribasso dei tassi dei Bund dallo scorso giovedì ha messo sotto pressione l’euro e se i rendimenti dei Bund continueranno a scendere, la stessa cosa farà l’euro”.
L’esperto continua: “Una semplice correlazione tra lo spread tra i tassi e l’eur/usd suggerisce che, affinché l’euro/dollaro torni ai minimi di marzo, o i tassi sui Bund a 10 anni dovranno scendere allo zero o i rendimenti sui Treasuries dovranno salire in modo molto netto. Ma questo comporta semplicemente che la discesa dell’euro sarà probabilmente lenta e sbilanciata, anche se la direzione (verso il basso) non sarà alterata”. (Lna)