15:09 venerdì 30 Ottobre 2015

C’era una volta il BoT: nuove strategie per i cassettisti

Di Sara Silano, IT Forum News

Sui mercati finanziari non esistono più pasti gratuiti. Negli ultimi cinque anni, i fondi monetari in euro (disponibili in Italia), che sono equiparabili a un investimento privo di rischio, hanno reso in media lo 0,3% annuo (al 30 settembre 2015). Nello stesso periodo l’inflazione media annua nel Belpaese è stata dell’1,6% (fonte Istat). L’investimento in liquidità, dunque, non ha protetto il potere di acquisto della moneta.

C’era una volta il BoT

Sono lontani i tempi in cui il BoT (Buono ordinario del Tesoro) a sei mesi rendeva oltre il 10% (bisogna ritornare a metà degli anni Novanta) e il rating dell’agenzia Standard & Poor’s sull’Italia era pari ad AA, ampiamente all’interno dell’universo dei titoli di debito di buona qualità. Oggi il titolo italiano di pari-scadenza rende un magro 0,06% e il giudizio sul Belpaese è BBB-, un gradino sopra il livello spazzatura. La svolta è avvenuta nel 2011, con la crisi del debito sovrano, che ha portato in Europa un rischio che in precedenza era tipico dei paesi emergenti: quello politico.

Con i tassi che in Europa sono vicini allo zero, tenere i soldi sotto il materasso o in investimenti di breve termine non permette neppure di coprire la seppur bassa inflazione (0,2% nel 2014, fonte Istat). In altre parole, la liquidità è un rischio più che un’opportunità. Il pericolo più grande è di mancare il proprio obiettivo finanziario (cosiddetto shortfall risk). Per chi ha un orizzonte di lungo periodo, tenere molti soldi in strumenti a bassa volatilità (e quindi rendimenti minimi) aumenta il rischio di non risparmiare a sufficienza per la pensione o per altre esigenze, come l’acquisto di una casa.

La diversificazione funziona

Cosa fare per non incorrere in tale pericolo? Per comprenderlo guardiamo come si sono comportate le diverse attività finanziarie dal 2000 ad oggi. 15 anni fa, il miglior investimento erano le materie prime, nel 2014 sono state il peggiore in assoluto. Sempre all’inizio del nuovo millennio, pochi sarebbero stati disposti a comprare un fondo azionario emergente, eppure in sette dei successivi 15 anni, questa asset class è stata la più redditizia. Ancora, chi nel 2008 avesse scelto i titoli di stato governativi, avrebbe evitato il crollo delle Borse internazionali seguito alla crisi dei mutui subprime (di bassa qualità) americani, ma si sarebbe ritrovato in fondo alla classifica delle performance nei due anni successivi, perdendo il rimbalzo dell’azionario.

La prima lezione della mappa delle asset class è che inseguire il rendimento non è una buona strategia; la seconda è che non si possono tenere tutte le uova nello stesso paniere. Un portafoglio bilanciato moderato (tassello grigio nella tabella), composto al 60% da azioni globali e al 40% da obbligazioni internazionali, ha reso il 5,9% dal 2000 a fine giugno 2015, facendo meglio di un portafoglio esclusivamente azionario o al 100% composto da titoli governativi.

Nel terribile 2008, 100 euro investiti sulle Borse internazionali (indice S&P Global 100) a gennaio sarebbero diventati 64,5 dopo dodici mesi, mentre la stessa somma allocata per il 50% in azioni, il 40% in obbligazioni (Barclays Global Aggregate) e il 10% in liquidità (JPM GBI Global 3 Months) avrebbe lasciato in tasca al risparmiatore 86,5 euro. Nel 2011, nel pieno della bufera per la crisi del debito sovrano in Europa, 100 euro in un portafoglio moderato sarebbero diventate 102,4, mentre in uno aggressivo 96,8. Non esiste il mix perfetto di asset class, perché molto dipende dall’orizzonte temporale e dalla propensione al rischio dell’investitore; tuttavia i numeri dimostrano che la diversificazione continua a essere il migliore antidoto alla volatilità dei mercati.

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