Economia

L’Europa e la fine del libero mercato dei capitali

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ROMA (WSI) – Libera circolazione dei capitali, alias libero mercato: è questa, apparentemente, una delle più grandi conquiste dell’Europa e uno dei principi fondanti dell’Unione europea. Che, tuttavia, sarà probabilmente ricordata come una breve parentesi della storia europea. “La fine dei liberi mercati dei capitali” è uno scenario invocato non dal pessimista di turno, ma dai “cervelli dell’Europa”, esattamente dal think tank European Strategy and Policy Analysis Systems (ESPAS).

L’esito della ricerca è stato presentato alle stesse istituzioni dell’Unione europea la scorsa settimana, poco prima dei tragici eventi di Parigi.

Vengono citati “fattori di svolta negativi”  su scala globale, che sono “considerevoli” e che rischiano di mettere ko quello status quo dell’Ue che, in termini di governance sia economica che sociale, non è più sufficiente più a garantire che l’Europa sopravviva “in un contesto globale che cambia rapidamente e che pretende sempre di più”.

La grandezza delle sfide è tale che l’ESPAS avverte sul rischio di assistere alla fine dei liberi mercati dei capitali, oltre che al verificarsi di una crisi monetaria e finanziaria massiccia e a una crisi energetica a livello pandemico.  Altro grave rischio è un conflitto nell’area dell’Asia-Pacifico.

Sono decise le parole di Don Tapscott, autore del report:

Esiste un rischio molto reale che il capitalismo possa venire rimpiazzato”, nel caso in cui i governi continuino a non distribuire ricchezza.

In più, l’aumento delle tensioni geopolitiche nel mondo intero e la ridefinizione dei ruoli di Russia, Cina e Medio Oriente potrebbero:

dar vita nuovamente a un senso di insicurezza e a conflitti che rievocherebbero i momenti cruciali dell’inizio del 20esimo secolo”, alla vigilia della esplosione delle due Guerre Mondiali.

Gli esperti dell’Unione europea ritengono che al momento siano in atto tre rivoluzioni, che stanno creando un “mondo più complesso e insicuro”.

Si tratta esattamente della rivoluzione economica e tecnologica; della rivoluzione sociale e democratica; e della rivoluzione geopolitica, che corrisponde all’ascesa dell’Asia.

Sebbene le nuove tecnologie presentino fattori positivi destinati a trasformare le economie e società europee, il rischio è che degenirino in un aumento della disoccupazione, delle diseguaglianze, impoverendo la classe media.

Inoltre, si legge nel documento, individui meglio connessi e dotati di maggior potere rendono “più difficile dar vita ad accordi collettivi e formulare approcci attraverso i canali tradizionali, come i partiti politici o i sindacati“.

Come dovrà comportarsi l’Europa per far fronte a queste sfide? I cervelli dell’Unione europea sottolineano che il successo del Continente dipenderà dalla sua “capacità di anticipare (gli eventi), di essere più flessibile, più agile e più aperta”.  In termini di soluzioni, il rapporto cita la necessità di lanciare maggiori investimenti, di completare il mercato unico, di sviluppare una unione energetica, di rafforzare la governance dell’Eurozona.

Indicativo è il consiglio economico che viene dato, ovvero quello di capire che un “semplice approccio keynesiano” non sarà sufficiente a garantire la formula di crescita per i prossimi vent’anni.

La crescita deve essere raggiunta senza il debito.

Detto questo, il report prevede che è probabile che, entro il 2030, tutti gli stati membri dell’Unione europea, eccetto la Danimarca e il Regno Unito, “abbiano aderito all’Eurozona”.