NEW YORK (WSI) – Il calo continuo dei prezzi del petrolio e i costi dellla guerra in Yemen, il paese confinante dove sono andati a impelagarsi, potrebbero costare caro agli sceicchi sauditi al potere.
Migliaia di vittime tra i civili hanno attirato l’attenzione delle potenze occidentali sulla campagna militare saudita in Yemen. Anche se l’opinione pubblica pare ancora dalla parte dell’Arabia Saudita, la guerra sembra giunta a un punto morto. Tanto che le autorità di Riyad hanno iniziato a discutere della possibilità di negoziare una tregua. Ma il fatto è che i sauditi dovranno in quel caso ricostruire un paese povero che hanno demolito a suon di operazioni discutibili finanziate da fiumi di petrodollari.
“C’è molta frustrazione per come hanno gestito e condotto la campagna militare”, dice al Financial Times un alto funzionario occidentale. I diplomatici di Usa ed Europa temono che i jihadisti abbiano sfruttato il conflitto armato per ampliare la loro presenza nel territorio.
Gli osservatori di geopolitica più attenti hanno capito che la campagna saudita in Yemen ha anche rafforzato il sentiment anti sciita nell’Arabia Saudita, paese a guida sunnita, dove una minorità sciita – lo stesso ramo della religione islamica che fa capo a Iran, Hezbollah e governo siriano – è messa ai margini.
“L’odio verso la Siria e le divergenze settarie sono all’origini del conflitto. È grazie a questi due elementi che il regno saudita è riuscito a costruire il sostegno alle forze ribelli in Yemen.
L’impegno militare all’esterno più la contrazione dei ricavi provenienti dal commercio di oro nero hanno inflitto un uno due pesante sull’economia. Le spese folli degli anni passati non sono più sostenibili. Il regno saudita è stato costretto a ridurre la spesa pubblica di 80 miliardi di dollari, a 267 miliardi. Inoltre, le autorità stanno valutando l’idea di aumentre le tasse o per lo mento abbattere i sussidi energetici in vigore.
Lo spettro dell’Iran
Anche se si arriva alla pace, il braccio di ferro con l’Iran nella regione non perderà di intensità, ma si sposterà solo in altre arene di combattimento, in primis in Siria, dove i sauditi sono schierati dalla parte dei ribelli e l’Iran sostiene il regime di Assad.
“Siamo ossessionati dall’iran”, ha ammesso un osservatore politico saudita. “Per noi l’Iran è una questione di sicurezza nazionale“.
I giovani cittadini dell’Arabia Saudita, dove il 60% della popolazione ha meno di 30 anni, vorrebbero vedere un cambiamento radicale verso un’economia più moderna e una politica estera più in linea con le loro ambizioni. Vorrebbero che Ryiad diventi un regno amico degli Stati Uniti, ma con maggiore autonomia, che benefici del ricco patrimonio di risorse petrolifere, ma che non faccia affidamento unicamente sui ricavi provenienti dall’oro nero.
Il primo test a cui devono rispondere i monarchi riguarda l’implementazione di una serie di misure di riforma, sul piano economico e della sicurezza. La guerra in Yemen non ha ispirato fiducia nelle capacità di strategia militare dei sauditi, mentre il crollo del greggio continua a mettere sotto pressione il governo, che sta pensando di imporre misure di austerity.
Il momento è quanto mai delicato. Per scongiurare una Primavera Araba intestina, l’Arabia Saudita ha un bisogno disperato di riformarsi e farlo in fretta. I cambiamenti sopracitati voluti dalla gente – maggiore rappresentanza del popolo, libertà di parola e lotta alla corruzione dell’élite reale – non fanno parte della visione del futuro che ha la monarchia.
Dieci mesi dopo essere salito sul trono, King Salman bin Abdulaziz, 79 anni, ha il compito gravoso di gestire una nuova era per l’Arabia Saudita. Una popolazione molto giovane dove già regna il malcontento difficilmente accetterà di buon grado un round di misure di austerity. La situazione critica attuale potrebbe diventare incandescente.
Fonte: Financial Times