HELSINKI (WSI) – La Finlandia è diventato il paese meno produttivo e meno efficiente sul fronte del costo del lavoro e della produttività della zona euro, eccezion fatta solo per la Grecia, tanto da meritarsi l’appellativo di Grecia del Gran Nord o Grecia di lusso. Il Pil della Finlandia è del 6% inferiore rispetto ai livelli del 2008, mentre la disoccupazione si aggira intorno al 10%.
I motivi ? Dalla crisi della Nokia, principale azienda esportatrice del paese, al crollo della domanda di carta, un segmento fondamentale nel mercato dell’export di Helsinki. La Finlandia è stata vittima anche delle sanzioni imposte alla Russia e della conseguente recessione.
Urgente correre ai ripari. E così il paese ribadisce l’intenzione di superare la grande depressione in cui è sprofondato con la distribuzione del reddito minimo e, di fatto – secondo diversi esperti – con la fine del lavoro. La proposta parla dell’erogazione di 800 euro al mese sotto forma di reddito universale a tutti i cittadini maggiorenni, in un contesto in cui il Telegraph fa notare che la Finlandia vive la crisi più protratta e più profonda dal crash degli inizi degli anni ’90.
Gli 800 euro, hanno affermato le autorità finalndesi, sarebbero esonerati dalle tasse.
La crisi della Finlandia non deve tanto essere paragonata agli altri paesi dell’Eurozona, come Irlanda e Spagna, quanto alla Svezia, paese a essa più simile .
Fino al 2008 le due economie crescevano sullo stesso binario più o meno, poi la crisi finanziaria americana ha dato ad entrambe il colpo di grazia. Oggi a Stoccolma il Pil è dell’8% superiore rispetto ai livelli del 2008, una differenza di 20 punti con i finlandesi.
La Svezia è riuscita con un mix di riforme e austerità negoziate con le parti sociali a ridurre in 12 anni il debito sovrano, che è passato dal 100% al 35-40% del Pil. L’altra differenza: la Svezia non è nell’euro, al contrario della Finlandia. Una Finlandia che entrando nell’euro si è trovata non solo impossibilitata – come tutti i paesi dell’euro – ad avere voce in capitolo sul trend della propria valuta – e dunque delle esportazioni -, incatenata dalle decisioni della Bce. Ma una Finlandia che si è trovata a osservare le regole dell’Unione monetaria imposte dal blocco teutonico, e dunque che alla fine ha abbracciato la logica dell’austerity.
Tale austerity non ha mollato la presa sul paese: basti pensare che a settembre gli ordinativi industriali sono crollati del 31% e che nel terzo trimestre il Pil si è contratto -0,6%, indirizzando l’economia verso il quarto anno di recessione.
Non molto tempo fa Paavo Vayrynen , europarlamentare e presidente onorario del partito che governa il paese, ha dichiarato:
“L’Eurozona non è un’area valutaria ottimale e la gente sta diventando sempre più consapevole di quelle che sono le reali ragioni di questa nostra crisi (…) Ci troviamo in una situazione simile a quella dell’Italia, e abbiamo perso un quarto della nostra industria. I nostri costi del lavoro sono troppo elevati”.
Come funzionerebbe il reddito minimo?
Si tratterebbe di un reddito base che andrebbe a sostituire l’elenco di assegni sociali, come quelli di disoccupazione, maternità e congedo parentale; queste voci, insomma, farebbero parte di un’unica somma complessiva di 800 euro al mese per tutti. Il reddito minimo sarebbe del tutto indipendente dalla situazione economica familiare o lavorativa del beneficiario.
Le proposte dell’associazione dovrebbero essere presentate nel novembre del 2016. Favorevole il primo ministro finlandese, Juha Sipila:
“Per me, un reddito base significherebbe semplificare il sistema previdenziale”
Ma quali sarebbero le conseguenze sul tessuto sociale? Un reddito universale di una tale portata renderebbe il lavoro una “scelta di vita”. Sarebbe infatti sufficiente a condurre una vita modesta, ma dedita completamente al tempo libero e agli interessi personali, oltre ai doveri di famiglia e burocratici.
Proprio per questo, gli oppositori alla proposta – che è stata avanzata dall’Istituziona Assicurativa Sociale della Finalandia (Kela)- ritengono che l’assegnazione di un reddito base decreterebbe la morte degli incentivi al lavoro e farebbe schizzare il tasso di disoccupazione, ancora più in alto.
La prima fase pilota prevede l’erogazione di un assegno da 550 euro per poi passare all’importo completo da realizzare entro 1 anno, ma non mancano i primi dubbi. Il reddito potrebbe pesare sulle casse dello stato 46,7 miliardi l’anno, il 20% circa del Pil su base annua.
Bisognerà aspettare a questo punto le prossime mosse. E intanto in tutto il mondo cresce il sostegno al “People’s QE”, ovvero a un QE delle banche centrali che venga erogato direttamente alla gente.