MILANO (WSI) – Difficile non domandarsi cosa può accadere a un paese, le cui finanze pubbliche dipendono al 90% dal petrolio, quando il prezzo del barile scende sotto i 30 dollari. Se, però, il paese al quale pensiamo è l’Arabia Saudita il discorso si complica, tanto che qualcuni parla anche di panico in corso.
Alle battaglie per restare in piedi sul vacillante mercato dell’oro nero, in questo caso, si uniscono le questioni geopolitiche: ora che il rivale sciita, l’Iran, si appresta a tornare sui mercati grazie alla rimozione di parte delle sanzioni dell’Occidente, i contrasti per l’egemonia territoriale saranno ancora più tesi. In particolare, ci si può domandare quale sia attualmente la posizione dell’Occidente nei riguardi dell’alleato Saudita, ora che l’Iran, avversario di Riad in Yemen e in Siria, è stato favorito con la svolta sulle sanzioni.
Il braccio di ferro fra i paesi Opec e gli altri produttori di petrolio è costato alle riserve di valuta straniera di Riad almeno 100 miliardi di dollari e la tendenza è destinata a continuare, a meno di non operare forti svalutazioni come, invece, sta facendo la Russia.
Il piano Saudita è quella di mettere in ginocchio i concorrenti, che non possono contare su riserve altrettanto cospicue e che producono con costi di estrazione assai maggiori. Allo stesso tempo l’Arabia Saudita dovrà adeguare la propria spesa pubblica al collasso dei prezzi dell’oro nero: l’anno scorso il deficit pubblico è stato del 15% (The Economist), con le spese militari che costituiscono il 25% della spesa.
Tutta questa serie di fattori, arrivando alla politica internazionale, difficilmente spingerà Riad verso un confitto aperto con l’Iran, come nota Tom Kool su Oilprice.com, allo stesso tempo le guerre in “terza persona”, che con fitte trame coinvolgono tutti gli attori attraverso fazioni ribelli alleate, sono destinate continuare.