MILANO (WSI) – Il Brasile sta attraversando una crisi talmente profonda da rendere i confronti con la Grecia del tutto legittimi: entro la fine del 2016 il Pil pro capite del paese guidato da Dilma Rousseff potrebbe scendere del 20% rispetto al picco raggiunto nel 2010; la crisi in Grecia, per fare un paragone, fra il 2007 e il 2013 aveva distrutto il 24,4% del Pil pro capite.
Se la ‘B’ di Brics faceva pensare a un attore dei mercati emergenti di prima grandezza, ora, invece, ad essere grandi e numerosi sono soprattutto i problemi che la Rousseff, attualmente sotto impeachement e politicamente debole, è chiamata a risolvere.
- Spesa pubblica. Il pagamento degli interessi del debito pubblico, pari al 70% del Pil, sta diventando sempre più gravoso e assorbe una cifra pari al 7% del Pil.
- Inflazione. La crescita dei prezzi è al 10,5%, con poche chances da parte della banca centrale di mitigarla tramite un rialzo dei tassi: le conseguenze per le finanze pubbliche sarebbero anche più aspre. Non resta che operare politiche deflazionistiche mirate a ridurre il reddito disponibile: più tasse, meno spesa pubblica.
- Ostacoli costituzionali. Il 90% della spesa pubblica è inattaccabile per legge. Il problema è costituito soprattutto dal sistema pensionistico protetto dalla costituzione brasiliana, che assorbe l’11,6% del Pil. Più del più anziano e più ricco Giappone.
- Crollo dei prezzi delle commodity. Rispetto al loro picco del 2011 il prezzo delle materie prime commerciate dal Brasile sono scese del 41%.
Il prodotto atteso da tutti questi ingredienti è un’economia la cui grandezza, entro la fine dell’anno, sarà regredita dell’8% rispetto al primo trimestre del 2014, quando il Paese salutò il “segno più” davanti ai numeri del Pil. Due agenzie di rating, non per niente, hanno già declassato allo status “spazzatura” il debito del Brasile.