Analisti: ecco perché gli Stati Uniti non sono in zona recessione
“La curva statunitense dei rendimenti non è assolutamente in prossimità di inversione, fattore storicamente sinonimo di recessione, anche se ha subito un appiattimento e dev’essere più ripida”. Così Richard Woolnough, gestore obbligazionario M&G Investments che, in una nota odierna spiega le ragioni secondo le quali le paura sulla caduta in recessione degli Stati Uniti sono infondate.
“Se le prospettive da un punto di vista economico e industriale fossero negative, le imprese taglierebbero lavoro nella maniera più tradizionale, ovvero licenziando persone. Invece, la percentuale di popolazione attiva attualmente licenziata nel settore privato è la più bassa degli ultimi 15 anni. Ciò è indice di un continuo vigore del mercato del lavoro, e il basso livello di tagli di impieghi indica una tendenza continuativa di solide cifre occupazionali“.
In questo contesto, “a nostro avviso la Fed continuerà a innalzare i tassi in quanto dovrebbe concentrarsi sui dati che indicano un rafforzamento del mercato del lavoro”.
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Seduta negativa per Piazza Affari e in Europa, mentre Wall Street arretra dopo i nonfarm payrolls. In calo i rendimenti obbligazionari
La borsa di New York registra un leggero aumento nonostante i dati sull’occupazione inferiori alle aspettative. Gli analisti prevedono un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve.
Il rapporto sull’occupazione di agosto negli Stati Uniti ha evidenziato una crescita dei posti di lavoro inferiore alle previsioni degli analisti. Nonostante ciò, il tasso di disoccupazione è sceso e i salari orari medi sono aumentati.
Il 12 e 13 settembre, Boeing affronterà un importante sciopero generale, il primo in 16 anni, con 32mila dipendenti coinvolti. Le trattative con i sindacati sono in corso per evitare l’astensione dal lavoro.